ARTISTI CONTEMPORANEI A MARCELLO DUDOVICH

LIVIO APOLLONI
(Roma 1903 – 1976)

Caricaturista, cartellonista, pittore nonché giornalista, diplomato all’Accademia di Belle Arti di Genova. Iniziò nel 1923 a Roma realizzando delle vignette sul periodico “Serenissimo”. Collaborò con numerose riviste quali “Il Pasquino”, “Il Tifone”, “Il Caffè”, “Il Dramma”, “La Lettura”, “Il Travaso”.  Su commessa dell’Enit/Fs iniziò nel 1926 la campagna pubblicitaria per l’incremento turistico di Cattolica e della Riviera Romagnola, producendo numerosi manifesti ed opuscoli illustrativi di ottima ispirazione. Fu redattore della “Tribuna” dal 1930, direttore del “Travaso” dal 1943 al 1945 e negli ultimi anni cinquanta si adentrò in realizzazioni pittoriche insieme alla pubblicazione di libri sul folklore romano.

OSVALDO BALLERIO
(Milano 1870 – Azzate (VA) 1942)

Studia e si diploma all’Accademia di Brera di Milano ed è rammentato come ottimo decoratore di diverse chiese della valle d’Intelvi. Fu un abile cartellonista e disegnatore di vignette umoristiche in bianco e nero. Realizzò e firmò numerose cartoline commemorative tra cui quella esemplare del 1904  stampata  per la nascita di Umberto II di Savoia.

ACHILLE BELTRAME
(Arzignano di Vicenza 1871 – Milano 1945)

Dopo i primi studi a Vicenza, proseguì  presso l’Accademia di Belle Arti di Milano con Giuseppe Bertini e vinse giovanissimo il premio Mylius con il dipinto “La Bicocca nel giorno seguente la battaglia di Novara”  datato 1890. La sua smagliante attività di illustratore inizia nel 1896 in Montenegro, disegnando i costumi di Cettigne, con la quale lavorerà per circa cinquant’anni.
Concorse alle Triennali di Brera del 1891 e 1894 nonché  all’Esposizione nazionale di Torino del 1898. Noto come ritrattista e come autore di pannelli murali, di quadri storici e dedicati all’arte sacra. Il suo apice lo ebbe con la sua attività di illustratore per la “Illustrazione Italiana” e per la “Domenica del Corriere”, cui cominciò a collaborare fin dal 1899, avvicinando varie generazioni di lettori con le sue immagini che traducevano, in linguaggio semplice ed immediato, avvenimenti di cronaca e fatti storici. Di lui si contano  n.4660 tavole ispirate   e realizzate con precisione e profusione di particolari. L’impianto scenografico dei suoi lavori è strutturato in una maniera tale da rendere perfettamente l’idea della situazione descrittiva, costituendo resoconti minuziosi veri ed immediati come quelli di un mezzo fotografico. Illustrerà scene militari, processi, eventi mondani, celebrazioni e storie di comquista militare e coloniale. Tra le commesse commerciali ricordiamo la felice produzione che realizzò per i Magazzini Mele di Napoli.
I suoi dipinti di pregio  sono conservati  all’Accademia di Brera e all’Ospedale Maggiore di Milano.
Come cartellonista ha lavorato con le Officine grafiche Ricordi a partire dall’inizio del nuovo secolo, entrando in sintonia con il primo Metlicovitz, con Malerba, ma soprattutto con Villa.
Estraneo alla problematica del Liberty, ne ha assunto, in un paio di manifesti, uno degli elementi più esteriori, la linea ondulata “a colpo di frusta” che usa come elemento decorativo di fondo o come cornice per le scritte.   Per l’opera svolta in circa sessant’anni, il suo nome è senza dubbio da annoverare tra la lista europea dei grafici pubblicitari di maggior rilievo.

GINO BOCCASILE
(Bari 1901 – Milano 1952)

Illustratore, caricaturista e cartellonista con innata e spiccata  propensione al disegno. Inizialmente autodidatta si trasferì poi a Milano nel 1925 dove trovò un primo concreto impiego nell’Agenzia Mauzan-Morzenti dove ideò e realizzo alcuni manifesti di buona  caratura. Dopo brevi soggiorni a Parigi ed in Argentina, rientrò definitivamente a Milano svolgendo a partire dagli anni trenta, un’intensa attività di cartellonista e disegnatore per giornali satirici e riviste di moda. Nel 1937 e 1938 realizza la “Signorina Grandi Firme” per il settimanale diretto da Pitigrilli. Tra i manifesti che si ricordano maggiormente sono quelli propagandistici per la Repubblica di Salò.

LUIGI BOMPARD
(Bologna 1879 – Roma 1953)

Trascorse a Bologna i primi anni di attività e nutriva simpatie per la grafica tedesca che trovava le sue espressioni nelle riviste “Jugend” e “Simplicissimus”. Fu un buon illustratore con ottimo polso come acquerellista. Il suo nominativo compare in numerosissime mostre tenute sia in Italia che all’estero in particolar modo a Parigi, dove acquisì l’influenza della cultura franco italiana che faceva capo a Boldini. Dopo gli anni dell’estero si trasferì definitivamente a Roma dove collaborò per l’illustrazione di numerosissime riviste italiane firmando eleganti disegni sul mondo sportivo ed elegante.

EMMA BONAZZI
(Bologna 1881 – 1959)

Diplomata a pieni voti nel 1913 in pittura classica presso l’Accademia di Belle Arti di Bologna, conquistando la medaglia del Ministero della Pubblica Istruzione. La sua capacità nel disegno e nelle tecniche pittoriche nonché nell’incisione, era supportata da un’autonomia artistica priva di influenze realiste e veriste che in quell’epoca dominavano l’ambiente. Le sue notevoli capacità erano accompagnate da una grintosa attività artistica che le fecero conseguire notevoli successi. Ottenne così il premio F.Francia, il Città di Stoccolma con una straordinaria Salomè, oltre al premio Ussi e il Curlandense. Nel 1914 aderì alla seconda secessione di Roma e nel 1919 partecipò all’esposizione della Società Amatori e Cultori. Nel 1921 la troviamo in lista nella prima biennale romana, mentre nel 1920 – 1922 partecipa alle Esposizioni Internazionali Veneziane ed alla “Fiorentina Primaverile”. Nel 1928 allestirà con successo il padiglione dell’I.S.I.A. alla mostra campionaria dei littoriali, illustrando il tema del ciclo lavorativo della seta. Fu nel frattempo nominata consulente artistica alla Perugina, creando per circa sedici anni bozzetti pubblicitari, confezioni ed oggetti regalo che contribuirono a consolidare l’immagine ed il marchio di questa azienda in tutta Europa. Informata sugli stimoli artistici europei segue con piacere la rivista inglese “The Studio” e la  tedesca “Jugend” dalle quali ricava novità culturali per importarle nel suolo nazionale con varianti e trasformazioni pittoriche di suo gradimento. Ricordata come artista di raffinata immaginazione pittorica espressa con sofisticate tempere integrate da ricamo floreale su seta. La sua mano artistica si prestò a citazioni esotiche con aperture al bizantinismo favolistico, rivelando profondi intrecci con la secessione viennese di cui aveva assorbito anche impostazioni klimitiane. Si applicò con successo. La sua intensa attività grafica e cartellonistica è caratterizzata da un linguaggio pubblicitario con soggetti e raffigurazioni carichi di gioia vitalistica. I suoi fogli ed illustrazioni possiedono una particolare vena artistica priva di qualsiasi condizionamento pubblicitario. L’abilità dell’impalcato dei suoi manifesti, il dinamismo e le forme sinuose decorate da motivi ornamentali, danno una potenza espressiva all’immagine che fanno di lei un’autrice di caratura internazionale. Ricordiamo tra i suoi più celebri manifesti  quello per  l’acqua da tavola “Litiosina”  e quello “Date Carta alla Croce Rossa” entrambi datati 1917, oltre al celeberrimo  “Coppa del Re” (1921)  ideato per il Gran Premio di Venezia per idrovolanti da velocità e da trasporto. Donna sensibile, raffinata ed estremamente colta, dotata di una non comune fantasia decorativa, allestirà mostre ed arredi per interni, progetterà oggetti e confezioni. Nel campo pubblicitario collaborò con la Baroni di Milano e con le Edizioni del Risveglio di Bologna. I suoi contatti più frequenti li ebbe con l’atelier Chappuis di Bologna che stampò magistralmente le sue creazioni grafiche  miscelate tra il simbolismo tedesco e il Liberty floreale. . Terminerà la sua carriera nella stessa città che vide la sua nascita, il suo declinio fu inesorabile nonostante il florido periodo artistico dove tutte le pareti dovevano essere riempite di tele. Il giornale dell’Emilia scriverà un articolo invitando i lettori a devolvere un contributo in favore della Bonazzi caduta in povertà ed emarginata, appello che non verrà accolto dal pubblico, lasciando morire l’autrice  in miseria.

ARNOLDO BONZAGNI
(Cento (BO) 1887 – Milano 1918)

Diplomato all’Accademia di Brera che iniziò nel 1906 sviluppando in particolare il disegno e la pittura nei modi e nelle applicazioni di Tallone. Fu amico di Boccioni e molto attento alla pittura di Previati senza però aderire al divisionismo o al futurismo. Fu abile pittore anche nell’applicazione  di  decorazioni ed affreschi. Nel 1913 tiene una rassegna di cartelloni satirici alla “Mostra della Caricatura” a Bergamo. Per un breve periodo di circa quindici mesi applicò le sue arti in suolo argentino collaborando col periodico umoristico “El Zorro” realizzando vignette con particolari soggetti satiro-politici e mondani. Trascorse gli ultimi anni della sua vita a Milano realizzando collaborazioni con numerose riviste.

UMBERTO BRUNELLESCHI
(Montemurlo (PT) 1879 – Parigi 1949)

Nel 1900, anno dell’esposizione universale di Parigi, Umberto Brunelleschi arriva a Parigi con i propositi di applicare l’arte pittorica che aveva acquisito durante i suoi studi a Firenze e consolidare il suo  talento ottenuto da varie esposizioni toscane. Acquisirà numerosi contratti che gli permetteranno di applicare la sua particolare tecnica frequentando circoli d’arte parigini intrecciando conoscenze che gli permetteranno di farsi strada nel settore grafico. Lavora anche firmandosi con lo pseudonimo Aroum-al Rascid, componendo ottime immagini per le riviste “L’Assiette au Beurre”,  “Le Rire”,  “Frou – Frou”,  consolidando la sua attività di illustratore già abbastanza nota. Si ricorda in particolar modo la sua vene modernista espressa con disegni raffinati dove si coglie chiaramente il suo insegnamento dalle lezioni dei “Maitres Galants” francesi del XVIII sec. Nella sua attività continua a realizzare anche opere pittoriche realizzando interessanti quanti profondi ritratti. Attuerà sperimentazioni anche nella scultura, realizzando una serie nota di maschere che esporrà al “Salon de la Nationale” del 1910. Saprà anche essere intraprendente costumista e scenografo che lo vedrà presente in numerosi teatri parigini e nella collaborazione con importanti riviste di moda.  La sua fama  gli valse le commesse per “La Scala” di Milano,  al “Roxi” di New York, alle “Les Folies-Bergère” e il “Casinò” di Parigi. Allestì anche i costumi per alcune opere di Puccini. Numerosi furono anche i libri da lui illustrati tra i quali si possono menzionare “Werther” di Goethe, “la Nuit vèenitienne” di Alfred de Musset, “Les bijoux indiscrets” di Diderot, “Contes du temps jadis” di Charles Perrault.
Nel 1912 otterrà un grande successo esponendo una serie di disegni intitolata “ Masques de la  Comèdie Italienne “, bissando poi il successo nel 1933 alla  “Exposition de l’Art Italien” dove propose le tavole dei costumi e degli allestimenti scenografici di Manon Lescaut.

PIER LUIGI CALDANZANO
(Cagliari 1880 – Genova 1928)

Si è formato a Roma e a Parigi. Ha lavorato presso le Officine grafiche Ricordi fra il 1912 e il 1915 disegnando manifesti e copertine di opere musicali. Il suo manifesto più antico noto è quello per le “Cuisinières en tous genres” del 1907, mentre nel 1912 firma quello per le “Lenti Radio Attive”. Nel campo degli affiches si è dedicato soprattutto a soggetti cinematografici come ad esempio la serie di manifesti per “Cabiria” di Pastrone del 1914, realizzati  insieme  con Metlicovitz, con cui entrò in particolare sintonia. Per l’opera lirica ha firmato un interessante cartellone per “L’amore dei tre re” di Montemezzi (1913). Durante la guerra ha realizzato una serie di vivaci schizzi, si dedicò inoltre senza grande successo al rinnovamento della ceramica sarda. Continuò la sua attività di cartellonista negli anni  ’20 ma non sempre con risultati interessanti. A distanza di anni disegnò due cartelloni di gusto caricaturale e dagli arditi tagli compositivi, uno per il “Bitter Pastore” del 1910 e l’altro per il “Cordial Campari. Anche l’unico manifesto realizzato per Mele è di genere caricaturale, ma la caratteristica di Caldenzano è quella di saper utilizzare linguaggi e toni diversi ed in contrapposizione tra loro. La sua abilità fu nel saper miscelare caratteri impositivi come per i manifesti di “Cabiria” fino alla “rattenuta drammaticità”  ed alla “funerea musicalità” (R.Curci 1983) del cartellone per “L’amore dei tre re”, oltre poi al tono scanzonato ed alla sottile ironia dei manifesti di Mele e Campari.

LEONETTO CAPPIELLO
(Livorno 1875 – Cannes 1942)

Considerato un nome da inserire nel gotha della pubblicità italiana.  Si trasferì a Parigi nel 1898 distaccandosi dalla città di Livorno quale risposta alla crisi dei “valori della riforma nazionale dei macchiaioli in una sorta di secessione colma di fermenti e di salutari contraddizioni”. (R.Monti 1985). Di questa posizione culturale di Cappiello giovane è testimanianza anche l’adesione del pittore alla Mostra Promotrice di Firenze del 1891, considerato quale momento più clamoroso di “rottura” tra Fattori ed i suoi giovani allievi. Negli anni livornesi, prima della partenza per Parigi, tale “secessionismo” spinse Cappiello, insieme ad altri, nella direzione di una tecnica impressionista vicina alle esperienze di Pissarro dopo il 1880 e che sarebbe diventata la parte tipica del divisionismo toscano. Oltre che pittore, a Livorno Cappiello cominciò ad avere un nome come autore di caricature e parte di queste furono pubblicate nel 1896 in un piccolo volume intitolato “Lanterna Magica”, un’ironica cronaca della Livorno mondana che trascorreva le sue giornate balneari tra ritrovi e passeggiate sul lungomare.
Stabilitosi a Parigi, intraprese un’intensa attività di illustratore proseguendo la sua spiccata natura di caricaturista e collaborando a riviste come “Le Crì de Paris” e “Le Rire” oltre a “Le Crì du Mois” e “Les Feux de la Rampe” tali collaborazioni si attestano tutte dal 1899 al 1905.
Per la rivista “Revue Blanche” pubblicò l’Album “Nos Actrices” contenente 18 ritratti di nobildonne famose parigine e che rappresentò per lui la prima tappa strategica per la sua affermazione parigina.
Intraprese anche altre collaborazioni di notevole caratura con giornali e riviste di notevole entità quali “Le Frou Frou” e “Le Figaro” con le quali proseguì la collaborazione fino al 1915 – 1918. Dal 1900 il genere della caricatura fu coltivato da Cappiello anche attraverso sculture di piccolo formato che, come i disegni, saranno generalmente legate a rappresentare i personaggi nobili e famosi della Parigi cantemporanea. Nel 1899 realizzò il suo primo manifesto “Le Frou Frou”, facendone seguire numerosi altri famosi quali, “Follies Bergère”, “Odette Dulac”, “Follies Bergère Balthi” in cui appaiono forti e marcati legami con il passato caricaturale, con Henry Toulouse Lautrec e, ancor di più, con Jules Chèret, mentre già si intravede una sua concezione del tutto nuova per il manifesto murale. Tale concezione sarà caratterizzata da fondi omogenei piuttosti scuri, al centro dei quali nobilissime figure tracciate con un segno continuo, il cosiddetto “arabesco”, e rilevate da stesure bidimensionali di colori accesi, si impongono con una straordinaria e marcata forza comunicativa. Dal 1900 incominciò anche la collaborazione con il tipografo editore Vercasson e dal 1904 la sua attività grafica divenne intensissima esercitando una vasta influenza su tutto l’ambiente parigino fino al 1919 – 1921.  A questa data l’editore delle sue maggiori e famose realizzazioni fu Devanbez e con lui produrrà manifesti fino al 1940 circa. Se si può rintracciare un percorso nell’evoluzione stilistica di Cappiello cartellonista, esso è forse nel segno di una progressiva e evolutiva sintesi capace di inviare il messaggio pubblicitario attraverso sigle più che disegni. Valga per tutti il famoso e storico manifesto “Chocholat Klaus” dove la presenza di una donna a cavallo, benchè non sembri avere alcuna relazione col prodotto, pure si associa in forma inequivocabile alla pubblicità del prodotto, grazie alla sola evidenza visiva dell’immagine, secondo un processo modernissimo sperimentato e messo a punto proprio da Cappiello tra i primi.
Dagli inizi del 1900 gli impegni di Cappiello diventano sempre più assidui e gli interscambi culturali si moltiplicano nella Parigi Liberty. Parteciperà così a mostre non solo parigine ma anche italiane, europee ed americane, ricevendo ovunque consensi, premiazioni ed onorificenze. Oltre all’attività di cartellonista che lo consacrerà ai massimi vertici, applicherà la sua arte con abile maestria anche nelle decorazioni di ville e di appartamenti privati, sarà grande ideatore di interni e di arredamenti, realizzerà costumi e scenografie per numerosi teatri francesi e si applicherà anche con grandi risultati nell’attività di frescante ed illustratore.

GIOVANNI CARPANETTO
(Torino 1863 – 1928)

Fu uno dei primi cartellonisti italiani ed esordì con il suo primo manifesto nel 1887 promosso dalla Società promotrice delle Belle Arti. Studiò all’Accademia Albertina e fu abile allievo di Andrea Gastaldi e di Enrico Gamba. Ottimo pittore di paesaggi ed anche ritratti, partecipando dal 1884 a mostre sia in Italia che in Germania. Apprese l’arte della litografia presso l’Officina Doyen di Torino dove insegnò anche all’Accademia Albertina.

PLINIO CODOGNATO
(Verona 1878 – 1940)

Fu allievo alla Scuola di Pittura e Scultura Brenzoni e alla Accademia Cignaroli, avendo come  maestri Napoleone Nanni e Mosè Bianchi. Intraprese l’attività di grafico e cartellonista per le Fiere di Cavalli e le Fiere dell’Agricoltura che si svolgevano nel veronese  dove  realizzò anche  il manifesto per la prima rappresentazione dell’Aida all’Arena di Verona. Successivamente si trasferì a Milano per proseguire l’attività di grafico a Milano e dal 1918 intraprese numerose collaborazioni con riviste  quali “La Lettura” e “L’Illustrazione Italiana”. I suoi soggetti preferiti furono le macchine ed i motori, tanto da avere quale soprannome “Il cantore della velocità in cartellone”. Passò tutta la sua carriera lavorativa a Milano dove intrecciò altre collaborazioni con “La Tradotta” e con altre numerose riviste dell’epoca.

FRANZ LASKOFF (LASKOVSKI)
(Bromberg 1869 – 1918/21)

Un autore questo  da annoverare e includere nella  “ elite” dei grafici pubblicitari   europei.
Di tale artista sono conosciuti pochissimi dati biografici ed un numero parecchio ridotto di opere. Con certezza comunque si può affermare che rappresentò una delle personalità maggiori della grafica pubblicitaria nel passaggio fra 1800 e 1900. Benchè appartenesse alla prima generazione dei grafici della Ricordi (quella di Hohenstein, Metlicovitz e di Villa), percorse una via del tutto nuova e solitaria, adottando un linguaggio icastico decisamente dirompente nei confronti della classica “linea italiana” del manifesto. Il suo linguaggio si basò essenzialmente su stilizzazioni molto accentuate e su una costruzione delle forme in virtù di stesure bidimensionali di colore, con abolizione del contorno e dei toni intermedi. Operò a Strasburgo intorno all’anno 1895/97 dove compì gli studi alla Kunstgewerbeschule, ed a Parigi. Tra il 1898 ed il 1900 fu in Italia e poi in Gran Bretagna dove fu profondamente influenzato dalla cultura figurativa anglosassone. Per lui furono grandi maestri i maggiori grafici inglesi quali Beardsley, Hardy, Hassal, i fratelli Beggarstaff.
Ampie influenze ai suoi lavori ne derivarono dalla cultura russa, probabilmente Bilibin fu un suo modello, ma anche grandi nomi di traccia francese influenzarono il suo stile applicativo.
Grasset e Toulouse Lautrec lo ispirarono  a composizioni figurative nelle quali interferiranno anche altre sue conoscenze intraprese nei suoi viaggi europei quali : G. Cobanz, G. Gandy, entrambi belgi nonché anche dagli austriaci K. Moser e J. Olbrich.
Presterà la sua mano come illustratore alle riviste di intonazione europea come “Jugend” e “Italia ride” o di tono più locale, ma con riflessi internazionali come “Musica e Musicisti” e “Riviera Ligure”. Dal 1900 al 1906 lavorò alle Officine Grafiche Ricordi di Milano dove eseguì una serie di cartoline postali a carattere commemorativo e pubblicitario e partecipò alla produzione di cartelli per Mele con sette manifesti finora noti, collocabili tra il 1900 e il 1902. Di questi cinque sono firmati ed hanno soggetti per pubblicità di abiti maschili, due invece sono siglati e reclamizzano le vendite speciali un tempo denominate “Occasioni”. Per Ricordi inoltre produsse anche avvisi d’opera tra i quali ricordiamo la celebre triade dedicata all’ “Oratorio S.Petrus” di Hartman,la “Entrata di Cristo a Gerusalemme” e la “Strage degli Innocenti” , datati 1899/1900. Altri suoi manifesti pubblicitari famosi saranno poi quelli per il cioccolato “Suchard” e per il “Costina’s Caffè”.

AUGUSTO MAJANI    (NASICA)
(Budrio (BO) 1867 – Buttrio (UD) 1959)

Trascorse la sua gioventù a Roma dove studiò all’Accademia delle Belle Arti fino al 1895. Nel 1905 si trasferì a Bologna per insegnare all’Accademia fino al 1937. Realizzò numerose mostre come pittore e presenziò ripetutamente alle Biennali di Venezia dal 1901 al 1924. Fu ottimo illustratore di libri e buon caricaturista. Ebbe intensi rapporti culturali con Carducci, Pascoli, Stecchetti, Trilussa, Ojetti e D’Annunzio. Firmò sempre i suoi cartelloni con lo pseudonimo di “Nasica”.

GIAN EMILIO MALERBA
(Milano 1880 – 1926)

Frequentò l’Accademia di Brera come allievo di Giuseppe Mentessi e Cesare Tallone. A Brera fu spinto dal padre che faceva l’antiquario e che apprezzò le sue innate doti artistiche.
Fu noto più come pittore che come cartellonista e in questa attività non raggiunse livelli elevati di innovazione iconografica per la sua irrisolta propensione pittorica, che gli fece raggiungere solo raramente una efficace e sintetica carica comunicativa. Si accostò a Dudovich prendendolo ad esempio, e realizzò alcuni frontespizi illustrativi senza mordente e senza carisma comunicativo.
Come già accennato nella produzione di Villa, nei cartelloni di Malerba coesistono, talvolta fastidiosamente, restaggi realistici e chiaroscurali insieme a semplificazioni grafiche come ad esempio nei suoi manifesti per le biciclette Stucchi del 1902/03. Sempre per biciclette realizzò manifesti per la Marca Milano che risente del’austera iconografia e dell’esempio della cartamoneta, come è stato osservato da L.Scardino (Due Ruote, Cento Manifesti, 1985). Annoveriamo anche altri suoi manifesti noti quali “Birra San Marco – Venezia” , “Zolfi Poggi & Astengo”,  “Il Nuovo Giornale”, “Circuit Aèrien” , “Amaro Felsina Ramazzotti”, “Adler Cycles – Ivrea”.
Ideò e Strutturò inoltre tre manifesti per Mele fra cui tutti ricorderanno quello raffigurante due nobildonne con un levriero e che lo distingueranno dalle sue consuete produzioni semplici e poco innovative.
Nel 1922 fu uno dei fondatori del gruppo Novecento, appoggiato da Margherita Sarfatti, ed in tale cerchia novecentista si esprimerà come mediocre pittore. I suoi dipinti verranno ricordati per le rappresentazioni di ambienti borghesi con moderni tagli fotografici ed un linguaggio iperrealista. Gli stampatori che lo accreditarono furono Ricordi, Chappuis, Armanino, Valcarenghi e la Tipografia Anonima Affissioni.

ALBERTO MARTINI
(Oderzo (TV) 1876 – Milano 1954)

Figlio d’arte con padre pittore, apprese da lui i principi dell’arte e diventerà inizialmente un buon e diligente copista di pitture antiche. Fu anche un disegnatore con accentuata simpatia per gli artisti inglesi e tedeschi di fine ottocento. Non aderì al manifesto di Breton (1924) e si autodefinì e autodeterminò “spontaneamente surrealista” prima che detto vocabolo prendesse significato. Fu un soggetto sostanzialmente isolato, non annoverabile nella grafica tradizionale pubblicitaria di quegli anni. Realizzò illustrazioni di vena fantastica per la “Secchia Rapita” di Tassoni del 1895, per la “Divina Commedia” di Dante del 1901 – 1920 e nell’illustrazione delle opere di Rimbaud, Shakespeare, Verlaine e Poe.
Espresse un erotismo macrabo e satirico, crudele e a volte sadico e dovendo illustrare “Misteri” cercò di rappesentare ciò che oltrepassa il normale limite umano del visibile. Tale sua diversità gli creò una folta schiera di appassionati e il suo nome comparve più volte nelle Biennali di Venezia dal 1897 in poi. Abitò a Treviso dal 1879 al 1922 e poi si trasferì a Parigi fino al 1934 dove acquisì ulteriori esperienze di tutta l’area del simbolismo europeo.  Nel 1935 rientrò a Milano e vi rimase fino alla morte.

ACHILLE LUCIANO MAUZAN
(Gap, Hautes-Alpes 1883 – 1952?)

Rinomato come grafico cartellonista, illustratore, pittore, scultore ed incisore. Nel 1905 acquisisce il diploma nella Scuola di Belle Arti di Lione, e successivamente si trasferisce a Milano per iniziare l’apprendistato delle tecniche incisorie. Studierà i monogrammi per l’incisore Soresina nonché l’alfabeto di iniziali per lo stampatore Allegretti. Si dedicherà alla produzione di manifesti dal 1910 ed in un primo momento realizzerà solo affiches cinematografici. Tale attività gli comporterà spostamenti anche a Roma e a Torino dove agli inizi del 1900 si stanno affermando importanti case cinematografiche quali la Cines Filmsdi Roma, la Savoia Film e l’Italia Film di Torino. Tra il 1912 ed il 1917 opera prevalentemente a Milano dove Tito Ricordi lo invita a lavorare come disegnatore di cartelli. “Il contratto di lavoro non è solo lusinghiero ma è anche accompagnato da un’offerta tecnica interessantissima: materiale nuovo (due macchine Offset rotative fiammanti), attezzature modernissime e personale altamente specializzato …….omissis” (cit.”Q8” Pinerolo 1984). Alla Ricordi conoscerà Metlicovitz, Caldanzano, Terzi, con i quali legherà un profondo sodalizio non solo di lavoro ma anche di vita quotidiana. Da Terzi imparerà i misteri dell’acquaforte e le tecniche di incisione.  Sarà esonerato dalla chiamata di leva per la I Guerra Mondiale e sfrutterà tale occasione dedicandosi al disegno di numerosi e svariati soggetti per cartoline postali che, insieme ai cartelli per i prestiti di guerra contribuiranno notevolemente a renderlo famoso e popolare.
Nuove iniziative artistiche lo porteranno a realizzare nuovi contatti e viaggi. Nel 1917 si reca a Roma per lavorare all’Agenzia Maga, nel 1923 sarà a Milano e fonderà la casa editrice Affiches Mauzan – Morzenti. Nel 1926 si trasferisce in Argentina a Buenos Ayres rimanendovi fino al 1932. Qui soggiornerà e la sua  creatività aumenterà ai massimi livelli in quanto in quel periodo in Argentina la pubblicità  marcava uno stato di arretratezza che accentuò la sua capacità di lavoro.
Attraverso mostre personali creò alleanze con imprenditori argentini, si fece conoscere dalla stampa e settimanalmente i quotidiani scrivevano delle sue opere e dei suoi contatti altolocati.
Lanciò numerose campagne educative sollecitando l’opinione pubblica all’interesse per il manifesto pubblicitario e per l’arte decorativa in genere. Sempre in Argentina fonderà la Editoria Affiches Mauzan che produrrà un numero altissimo ed incalcolato di manifesti murali.
Nel 1930 entra in collaborazione con l’Agenzia Cosmos “la più importante istituzione pubblicitaria dell’America del Sud, all’interno della quale verrà costituita una speciale sezione di ricerca e sperimentazione grafica denominata Nuevos Affiches Mauzan. Il suo prestigio crescerà esponenzialmente ottenendo incarichi di rango blasonato e sempre legati alla produzione di manifesti. Opererà anche nell’organizzazione di mostre ed imprese culturali tra cui la progettazione del Museo Storico di Buenos Ayres. All’apice della carriera dovrà rientrare in Francia per motivi familiari, lasciando incompiute molte opere e sperimentazioni iniziate in Argentina.
A Parigi troverà un ambiente assai meno favorevole, sicuramente più critico, essendo l’Europa la culla di altri grandi maestri italiani, francesi, tedeschi ed austriaci. Di conseguenza la concorrenza sarà spietata ed avversa. Riuscirà comunque a firmare numerose commesse e contratti d’opera trasferendo il suo atellier da Parigi a Gap, dove trascorrerà gli anni della II Guerra Mondiale per rimanervi sino alla fine dei suoi giorni, nel 1952, producendo quadri, incisioni e sculture.

ALDO MAZZA
(Milano 1880 – Varese 1964)

Frequenta l’Accademia di Brera iscrivendosi ai corsi di Cesare Tallone e si rivelerà un’artista capace di apprendere ed estremamente versatile. Non a caso suo padre Giuseppe era un famoso ritrattista e suo zio Salvatore era considerato un ottimo animalista e caricaturista.
Aldo Mazza coltiva la pittura ad olio rsrguendo ritratti di infanti ed adolescenti, optando anche per formule di disegno avanzato nel settore dell’illustrazione e dei cartelloni pubblicitari. Oltre alla vena artistica fu anche un rinomato umorista e seppe adattare i soggetti ed i colori delle sue opere ai diversi contesti in cui si inserivano “Egli non ha un pubblico unico, ma tutta una serie di gruppi di pubblico, diversi, da quello ridanciano della caricatura, a quello entusiasta dei bambini, da quello delle signore eleganti a quello degli sportmen: e di ciascuno di questi gruppi egli sa mantener vivo l’interessamento con sempre nuove opere, dedicandosi un po’ all’uno un po’ all’altro ramo, senza dimenticare l’alma mater, l’Arte pura ed elevata (G. Macchi, “Varietas” 1910).
Da studente collaborò con Vallardi quale illustratore di libri per l’infanzia, o di romandi come “La partenza del crociato, ossia il Prode Anselmo” di Visconti Venosta. Collaborò con la rivista “Illustrazione Italiana” e dal 1904 fu inviato da Francesco Pozza su suggerimento di Gustavo Macchi,  a sostituire Amero Cagnoni come principale caricaturista del “Guerin Meschino”, per cui lavorò circa vent’anni. Le sue caricature riempirono le pagine anche di altri giornali satiro politici  quali “Numero”,  “Il Secolo”, “Pasquino” oltre ad altri quotidiani di grande tiratura.
Il suo tipico tratto caricaturale ondulato ed arrotondato con abbondanti sinuosità, sulla scia di Cagnoni, contraddistinse anche il suo stile cartellonistico. Come Sacchetti, Codognato, Mauzan e Cappiello, Mazza è passato dalla caricatura al cartellone. Non sempre i suoi affiches hanno il linguaggio sintetico ed incisivo proprio del cartellone, ma, pur sembrando talvolta delle vignette ingrandite, hanno una loro evidenza visiva e riescono ugualmente a far presa sul consumatore. Nel ruolo di pubblicista si rivelò alla massa dei consumatori con lo storico manifesto per la compagnia dell’attrice Dina Galli, che presentava una audace illuminazione di sottinsù come quella della ribalta teatrale, ed intensa caratterizzazione delle fisionomie “alla confluenza, appunto, fra ritratto e disegno caricaturale” (R.Curci – G. Gori 1983 pag. 102).
Aldo Mazza, avendo talento, vinse il premio nel concorso per l’avviso murale della “Scienza per tutti” bandito dall’editore Sonzogno con un cartellone venato di humor, ma sfondo macrabo. Rari sono i suoi manifesti per l’opera lirica per la quale comunque realizzò un buon affiches nel 1912 per “La Cincallegra” di Sempilli. Numerose aziende gli commissionarono manifesti murali, ricordiamo Birra Italia, Lubrificanti Shell, Articoli per la Fotografia Ganzini, Biciclette Bianchi, Corse a San Siro (esemplato su uno di Dudovich realizzato qualche anno prima), Circuito Aereo Internazionale di Milano, Circuito di Brescia, La Rinascente, Credito Italiano, Magazzini Vittoria, e tanti altri ancora. Partecipò all’esposizione di Torino del 1911 celebrata per il cinquantenario dell’unità d’Italia, in tale rassegna Mazza esponendo un bellissimo e raffinato ritratto di sua moglie nella sezione dedicata alla pittura. Partecipò inoltre all’Expo Internazionale dell’Umorismo tenuta a Rivoli, affermandosi come uno dei caricaturisti italiani più interessanti ed incisivi. Fu in questa  mostra che realizzò un famoso manifesto che rappresenta tre o quattro personaggi grotteschi disposti prospetticamente lungo la diagonale del cartellone, infilzati da una penna, l’arma acuminata del disegnatore satirico. Per Mele firmò solo un manifesto anche questo in chiave caricaturale dove una coppia elegante in primo piano è ammirata ed invidiata da un gruppo di persone di estrazione sociale più modesta, appena delineato sullo sfondo. Con Chappuis di Bologna realizzò il manifesto per l’Unione Cooperativa Miccio & C. di Napoli, di chiara impronta dudovichiana.
Opererà anche come illustratore di libri tra cui ricordiamo “ Tartarin Chauffeur” mentre in pittura si sbizzarriva in olii umoristici o altri decisamente seri. Come pittore aveva creato  una sua particolare tecnica miscelata tra le tendenze moderne dell’epoca e  il divisionismo. Una delle sue opere più celebri dal titolo ombre del vespero sarà esposta alla biennale del 1906 e ricalcherà egregiamente le linearità del simbolismo di Harry Le Sidaner attraverso il divisionismo filamentoso ed aureo del nostro grande G. Previati. Dopo aver preso parte agli eventi bellici con la decorazione della croce di guerra, realizzò nel 1919 il manifesto – proclama della Lega dell’Ordine invitando gli italiani alla partecipazione politica. Nel 1923 rammentiamo l’illustrazione della strenna dell’Associazione Cesare Beccaria, dedicata alla cura e redenzione dei fanciulli traviati. I suoi principali stampatori sono stati Ricordi, Chappuis, Bertarelli e Geroldi.

LEOPOLDO METLICOVITZ
(Trieste 1868 – Ponte Lambro 1944)

Figura carismatica ed emblematica nella produzione di manifesti tanto da essere ritenuto il capostipite della pubblicità italiana è assolutamente da annoverare nel Gotha internazionale dei nomi che hanno coniato il messaggio pubblicitario.Va ricordato come autore poliedrico che esercitò abilmente le arti di pittore, cartellonista, illustratore, e scenografo teatrale. Inizia a lavorare giovanissimo viaggiando per l’Italia,  grazie all’attività commerciale del padre Leopoldo, imprenditore benestante nella Trieste di metà Ottocento. L’influenza del padre esercitata sul figlio fu notevole tanto da  trasmettergli una sapienza tecnica che costituirà la base fondamentale della sua arte. A Udine impara il mestiere di aiuto litografo e viene notato da Giulio Ricordi, che lo invita a trasferirsi nella sua “scuderia”  a Milano, come direttore del reparto tecnico. Metlicovitz affinerà la tecnica litografica sulla base degli esempi di importanti cartellonisti delle Officine Ricordi (Hohenstein, Mataloni e Villa) e il suo ingegno lo indurrà presto verso la sua attività di cartellonista autonomo. Alle Officine Ricordi sarà per molto tempo, il grande maestro di Dudovich, che ancor giovane si recò presso la Ricordi per imparare l’arte grafica applicata. Tra i celebri primi manifesti ricordiamo: “La Sera” (1892) e “Distillerie Italiane” (1898). Gli anni di fine Ottocento sono per Metlicovitz strettamente connessi all’ambiente teatrale milanese: è scenografo e costumista del Teatro alla Scala, cartellonista ed illustratore di libretti d’opera, spartiti, calendari, riviste. A Milano  conosce personalmente Giuseppe Verdi e Giacomo Puccini. Frequenta i locali mondani, viaggia in Inghilterra, in Germania, a Parigi, contemporaneamente si afferma come cartellonista di aziende di rilievo tra cui la napoletana Mele (1898 – 1915) e per importanti esposizioni nazionali  tra le quali ricordiamo quella di Milano del 1906 che fu vinta dal suo celeberrimo manifesto celebrativo del “Traforo del Sempione”. Sul fronte dell’attività di illustratore collabora alle riviste “Ars et Labor” (1906 – 1915), “La Lettura” (1906 – 1920), “Almanacco Italiano”; inoltre disegna cartoline illustrate per Ricordi e porta avanti una parallela attività di pittore con dipinti ad olio, acquerelli e studi dal vero spesso riprodotti in serie. Nel 1907  parte per l’Argentina su commessa di Ricordi. Rientrato, soggiornerà a Milano fino al 1908,  per poi  trasferirsi a Ponte Lambro. Molti dei cartelloni creati in questi anni, anche per il mercato argentino, saranno riprodotti dalle Officine Grafiche Ricordi negli anni venti. L’artista sarà inoltre l’ideatore di due  famosi marchi pubblicitari: per “Fernet-Branca” , disegnato attorno al 1899, e per le “Officine Grafiche Ricordi” con i tre cerchi inanellati,  risalente al 1912. Eseguì anche felici commesse per la ditta Liebig, per la quale disegnò anche una serie di cartoline, oltre ad altre rinomate aziende quali:  Pirelli, Pastore e Moretti. Dal 1915 l’artista si dedica quasi esclusivamente alla pittura eseguendo paesaggi e ritratti, secondo un metodo di lavoro – quello della ripresa dei soggetti in posa dal vero – seguito anche nella realizzazione di manifesti pubblicitari. Dopo quarant’anni  di intenso lavoro presso Ricordi, morto Giulio, la collaborazione con  le Officine si interruppe bruscamente e incominciò il suo periodo di declino.

MARCELLO NIZZOLI
(Boretto (RE) 1895 e Nervi (GE) 1969)

Studiò all’Accademia di Belle Arti di Parma ed intraprese la sua carriera come creatore e disegnatore di stoffe e tessuti. La sua espressione artistica fu anche come pittore, cartellonista, grafico e designer. Trasferitosi a Milano aderì, nel 1914, al gruppo “Nuove Tendenze” dove recepì nuove sollecitazioni  e sperimentazioni artistiche. Il suo estro gli permise di realizzare disegni dove la vena astrattista si fonde con lo spirito futurista, il tutto miscelato su una base estrapolata dalla teoria della secessione viennese. Famosi di lui saranno anche le opere di ispirazioni novecentista e di stile “decò”. Agli inizi degli anni trenta si dedicò con abilità alla creazione di cartelloni ed alla grafica pubblicitaria in genere. Sviluppò anche ideazioni e progettazioni architettoniche e di allestimento assumendo nel 1938 la carica di designer dell’Olivetti.

PLINIO NOMELLINI
(Livorno 1866 – Firenze 1943)

Nella sua città natale intraprese i primi insegnamenti pittorici dimostrandosi ottimo allievo sia del Betti che del Fattori. Acquisì molto dall’ambiente macchiaiolo che però sviluppò passando a temi celebrativi ed allegorici legati al nazionalismo fascista. Si trasferì a Genova per proseguire lo sviluppo artistico tramite la conoscenza che aveva con Pellizza e Morbelli, nei quali trovò la vena soggettivista ed intimista.  Notevoli furono i suoi spostamenti anche a Viareggio e Firenze, dove si adoperò come scrittore ed arguto opinionista. Fu amico del Pascoli, D’Annunzio, Puccini, Mascagni,  Pizzetti, Eleonora Duse e Isadora Duncan. Tali altolocate conoscenza e la sua spigliata capacità di intrattenere rapporti, lo portarono a partecipare a numerose Biennali veneziani fino a tutti gli anni del 1940. Nella sua poliedricità artistica sviluppò anche soluzioni divisioniste che si possono notare in alcuni suoi manifesti più famosi.

SEVERO POZZATI    (SEPO)
(Comacchio (RA) 1895 – Bologna 1983)

Studiò a Bologna all’Accademia di Belle Arti e si rivelò abile allievo sia in scultura che in pittura. Fu grande amico di Bacchelli, De Pisis, Govoni, Papini, Soffici e Cardarelli. Nel 1917 debuttò nel settore pubblicitario ingaggiato dall’Agenzia Maga di Bologna con la quale collaborò sino al 1920 anno nel quale si trasferì a Parigi dove incominciò a firmare i suoi lavori col pseudonimo di SEPO.
Partecipò a numerose mostre di pittura ed ottenne considerevoli successi anche sul suolo parigino. La sua attività principale rimase comunque quella cartellonistica dove seppe esprimere le sue capacità poliedriche.

ENRICO SACCHETTI
(Roma 1877 – Firenze 1967)

Di famiglia toscana Enrico Sacchetti nasce a Roma il 28 Febbraio 1877. Il padre Giuseppe era un noto personaggio nei circoli artistici toscani, amico di Telemaco Signorini, Giovanni Fattori e Silvestro Lega, pittore lui stesso di dignità che aveva il culto dell’arte alla quale iniziò prestissimo i figli. Pittore fu infatti il figlio Giotto e la figlia Pia; ma chi darà le più grandi soddisfazioni al “sor Beppe” sarà Enrico con il suo autoritratto agli Uffizi, opere nelle Gallerie di Modena, Venezia, Parigi, Londra, Buenos Ayres ed un nome, nel campo dell’illustrazione e della caricatura, sinonimo di quella eleganza che lo porrà ai primi posti tra i disegnatori europei. Diplomatosi in Fisica Matematica all’Istituto Tecnico, torna a Firenze dove frequenterà lo studio del pittore Gelati e dove, lasciata la casa paterna, farà i suoi anni di fame più nera. Sono gli anni del suo sodalizio con lo scultore Libero Andreotti, alla cui memoria dedicherà un libro nel 1935 “Vita d’Artista” Milano, Treves. Dovette essere la fame che divisero in quel periodo, battesimo e vaccino se a trent’anni di distanza scriverà con ferocia: ……………”che chi non sa come l’onesto appetito si muti in fame vergognosa, chi non sa come sian fredde le lenzuola di certi letti, e con che bocca amara ci si desti tutte le mattine quando per mesi e per anni, tutte le mattine si debbono risolvere sempre gli stessi problemi, sempre gli stessi elementari problemi, farebbe meglio a non giudicare ……….e prima di tutto sento il bisogno di mettere in chiaro che quelli a cui dà noia il mio troppo ostinato ritornello: fame, fame, fame, sono genteche ha sempre mangiato tutti i giorni due volte al giorno regolarmente” (E. Sacchetti “La Bottega della Memoria”, Firenze, Vallecchi).
Sacchetti dunque faceva la fame ma soprattutto disegnava; si immergeva nell’abbraccio di Firenze, madre ritrovata, da cui sembrava non potersi separare che a notte inoltrata o all’alba. Giorni randagi in giro per gli studi degli amici con il gruppo di Papini, Soffici, Cicognani, in perenne stato di belligeranza, critico dalla parola aspra e fulminante.
Sacchetti aveva già lavorato al “Bruscolo di Vamba” nel 1901, a “La Nuova Misica” e realizzate le famose cartoline con le caricature dei musicisti contemporanei, quando avviene il suo debutto ufficiale sul “Verde e Azzurro”, gigantesco settimanale diretto da Umberto Notari a Milano per il quale disegnerà anche il manifesto di lancio. L’impresa dura dal 1903 al 1904 poi fallisce.
Sacchetti torna a Firenze ma nel 1905 è richiamato dall’intraprendente Notari a collaborare al “Teatro Illustrato”, pubblicazione quindicinale del socialista Walter Mocchi per il quale illustrerà molte copertine ed una serie di tavole fuori testo con le caricature dei personaggi più in vista del mondo dello spettacolo. Lo stesso anno illustra “Le Roi Bombance” di Filippo Tommasi Marinetti per il quale collaborava anche alla rivista “Poesia” e l’anno successivo illustra insieme a Cesare Tallone ed Ugo Valeri: “Quelle Signore” di Notari, libro che all’epoca fece scandalo, fu sequestrato, processato e poi assolto. Intanto dall’Argentina gli arrivano mille lire ed un contratto, Sacchetti, che più tardi definirà questa esperienza come anni buttati via, si stabilisce dal 1908 al 1911 a Buenos Ayres come disegnatore a “El Diario” al suo ritorno si tratterrà in Italia il tempo di riallacciare la collaborazione con “La Lettura” di Milano che non abbandonerà più fino alla fine e con l’Istituto Editoriale Italiano per il quale, tra il 1912 ed il 1913 illustrerà una serie di libri della “Biblioteca dei Ragazzi” tra i quali “Le Avventure di Tartarino” di Daudet, “Le Novelle di Natale” di Dickens, e “Le astuzie di Bertoldo” di Della Croce, quindi, nel 1912 raggiunge Andreotti a Parigi. Partito come illustratore – caricaturista, viene ammonito da Lucien Guitry, che avendone inteso il forte spirito polemico, gli fa capire che a Parigi “pour avoir du succès il faut etre de bonne compagnie”, così lascia da parte le caricature per ritrovarsi interprete del “fenomeno donna” diventando in brevissimo tempo dessinateur de la femme. A Parigi ritrova il famose Sem Benelli e fa vita mondana con Libero Andreotti diventato famoso e ricercato in tutti i salotti. Lavora a “La Vie Parisienne” e sposa una violoncellista boemo-ungherese conosciuta in America. Ma la stabilità sarà di breve durata. La Francia entra in guerra e Sacchetti è costretto nel 1914 a rientrare in un’Italia dove già si veve il clima della vigilia. Collabora al neonato “Numero” di Torino, al “420” di Nerbini a Firenze ed è richiamato sotto le armi. Della sua esperienza militare restano le tavole ed i due album “Gli Unni e Gli Altri” di Giannino Antona Traversi, le copertine de “Il Secolo XX”, i manifesti e gli opuscoli per i prestiti di guerra, la serie di cartoline di propaganda “The Hums”, pubblicata a Londra, i due mazzi di carte da gioco nazionali con le caricature dei regnanti coinvolti nel conflitto, ma soprattutto i  sessanta disegni che compongono quel monumento rappresentato dal giornale della  Terza Armata “La Tradotta” a cui collaborò con Antonio Rubino, Umberto Brunelleschi e Giuseppe Mazzoni. Della fine e dell’immediato dopoguerra sono le collaborazioni a “L’Illustrazione Italiana”, “Satana-Beffa”, e “Lidel” di Milano ed una intensissima attività come illustratore di copertine per Mondadori, Zanichelli, Sonzogno, ecc.  Del 1920 è la personale alla Galleria Pesaro di Milano e la pubblicazione di venti litografie presentata da Ugo Ojetti per l’album di caricature di guerra intitolato “Loro”. Nel 1922 una mostra individuale alla XIII Esposizione di Venezia e le prime collaborazioni ai periodici come elzevierista. Ojetti gli commissiona articoli per il “Corriere della Sera” di cui regge la direzione dal 1926 al 1927 e finalmente, nel 1935 Enrico Sacchetti pubblica con Treves il suo primo libro, “Vita da Artista” che otterrà immediatamente il premio Bagutta. Seguono “Due Baci” nel 1936, “Arte Lunga” nel 1942, dedicato alla memoria del figlio Dino scomparso volontario in Albania nel 1941, “Capire” nel 1947, “La Bottega della Memoria”, “Premio della 9 Muse” a Napoli nel 1953, lo stesso anno riceve il premio Ausonia a Siena per liriche inedite, “Tempo Rubato” nel 1959 e “Che cosa è l’Arte” nel 1961.
Praticamente esaurita la sua attività di caricaturista ed illustratore si dedica a quella letteraria e pittorica. Nel 1957 viene allestita una sua antologica alla Galleria Cairola di Milano e gli viene assegnata la Medaglia d’Oro per l’illustrazione offerta dall’editore Garzanti. Tra le sue ultime personali quella alla Galleria Spinetti di Firenze nel 1958 presentata da Ardengo Soffici e quella del 1963 alla II Biennale dell’Umorismo nell’Arte di Tolentino. I suoi ultimi anni in solitudine termineranno il 27 Dicembre 1967 a Firenze.

AUGUSTO SEZZANNE
(Firenze 1856 – Venezia 1935)

Studiò all’Accademia di Belle Arti di Bologna dove divenne anche insegnante. Fu abile pittore, decoratore, architetto e cartellonista. Collaborò con numerose riviste dell’epoca  “Novissima”  ed “Emporium” per le quali produsse  bellissime tavole decorative. Nel 1893 si trasferì a Venezia dove partecipò con numerosi manifesti anche a varie Biennali dal 1901 al 1932. Sempre a Venezia fu anche docente all’Istituto di Belle Arti. Produrrà numerose strutture architettoniche funerarie sia a Bologna che Venezia ed a Rovereto.

PRIMO SINOPICO
(Cagliari 1889 – Milano 1949)

Il suo vero   nome era Raoul Chareun. Trascorse i suoi primi anni  nella città natale dove frequentò  il convitto Nazionale e successivamente  la locale università. Nel 1909 si trasferi’ a padova  dove si laureò in ingegneria senza però laurearsi. A  Padova  collaborò con alcuni  giornali satirici locali  e dal 1910 inizioò la sua intensa attività di vignettista usando lo pseudonimo di primo sinopico. La sua fama di illustratore e caricaturista  crebbe  fino alla pubblicazione della raccolta  di “ Eterno Femminino “ nel 1914 , raffinata  e crudele  composizione  di vignette ritraenti l’alta borghesia veneta.  Durante  il primo conflitto si trasferì a Milano  dove si dedicò all’illustrazione di libri per ragazzi  e iniziò le prime ideazioni di manifesti.  Notari  Umberto, editore , gli commissionò la  realizzazione  di  cinquantasette   manifesti  per le industrie italiane  che furono realizzati  dal 1917 al 1920. Il suo stile è particolarmente  personalizzato e  i soggetti sono ridotti a immagini essenziali  con linee sottili  e con colorazione ridotta a due o tre elementi. Partecipò assiduamente alle biennali di  Venezia  e alle Quadriennali di Roma  dove ottenne buoni risultati  sempre per quel suo inconfondibile stile essenziale  e  schematico.

ALEARDO TERZI
(Sassari 1885 – Milano 1961)

Ottimo disegnatore sin da ragazzo, si formò nello studio del padre  e proseguì l’apprendimento   all’Istituto di Belle Arti  di  Palermo.  Soggiornò a Roma, Milano, e Londra, lavorando  sempre quale illustratore di libri  e riviste tra le cui testate più famose troviamo “ La Lettura”, “ Ars et Labor”,  “ Novissima”.  Fu anche un buon cartellonista progettando ideazioni che vennero stampate da Chappuis e Ricordi che gli riconobbero  l’abilità creativa.   Fu anche ottimo pittore  aderendo alla seccessione romana  tra il 1913  e il 1916.  Dal 1925 fino al 1931  diresse l’Istituto del Libro di Urbino .

ALEARDO VILLA
(Ravello (SA) 1885 – Milano 1906)

Frequentò l’Accademia di Brera di Milano e fu allievo di Giuseppe Bertini e di Bartolomeo Giuliano. Ottimo e raffinato ritrattista, dal 1891 sostenne molte mostre  con dipinti tra i quali si ricorda il grande quadro “Consolatrix Afflictorum” privilegiando le immagini femminili. Fu uno degli autori di punta del cartellonismo italiano collaborando con la scuderia Ricordi di Milano per la quale realizzerà alcuni famosi manifesti per i Magazzini Mele di Napoli. Collaborò con numerose altre aziende grafiche ottenendo sempre buoni successi nella creazione di manifesti influenzati dalla grafica francese, soprattutto da quella di Chèret. Fu uno degli autori che fece da collegamento tra l’Otto e il Novecento lasciando un indelebile impronta nel cartellonismo delle affiches murali. Attraversato da conflittualità interne si suicidò il 31.12.1906.

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