Allo scoppio della guerra Marcello Dudovich è costretto a rientrare in Italia ottenendo l’esonero dal servizio di leva che salvò il Nostro dalla partenza per il fronte, infausta sorte capitata a molti suoi colleghi che non torneranno più a casa. Noi conosciamo tali motivazioni dalle parole dell’artista:
“ Io, figlio di garibaldino, non potei partire. Una lettera era giunta alle autorità in cui mi si accusava di germanofilia…”
Tale sospetto derivava dal fatto di essere stato per anni il collaboratore del “Simplicissimus” di Monaco. Dudovich rimase così un vigilato speciale per tutta la durata del conflitto, costretto a presentarsi ogni settimana in Questura. In questi anni di transizione compresi tra il 1914 e il 1919, carichi di incertezza e colmi di inquietudine per tutta l’Europa, si preparano molti cambiamenti per la società e quindi non solo a livello culturale. L’intero mondo aristocratico, per esempio, tramonta definitivamente e con esso si chiude per sempre il sogno della belle époque; va in crisi l’individualismo borghese con i suoi valori materiali, anche se nei primi anni Venti si cercherà di ignorare questo stato di cose. Nelle arti figurative come in letteratura si affermeranno nuovi modelli. In pittura si osserverà quella tendenza che per il momento possiamo riassuntivamente bollare con l’etichetta di “ritorno all’ordine”, mentre Joyce, Proust e Kafka affosseranno l’intimismo e le atmosfere rarefatte del romanzo borghese. “© 2017 archivio MD”
La grande guerra è effettivamente lo spartiacque che divide due intere epoche e il secolo XIX dal secolo XX. Risalgono al 1914 i primi rapporti di Dudovich con l’ambiente torinese, che andranno via via consolidandosi sulla base di importanti scambi culturali e richieste di collaborazione. L’evento editoriale più significativo di questo 1914 è la fondazione, proprio a Torino, del settimanale umoristico illustrato “Numero”, rivista che durerà fino al 1922, nata su iniziativa di un gruppo di persone ‘illuminate’, tra cui Nino Caimi (giornalista e pubblicitario), Guido Gozzano, Ernesto Ragazzoni, Pitigrilli. Tra gli artisti chiamati per la parte illustrativa la fanno da padroni soprattutto Eugenio Colmo (Golia), Giovannino Manca, Brunelleschi, Bonzagni, Angoletta, Bianchi, Mazza, Scarpelli e Bompard. Firmarono saltuariamente le pagine di “Numero” anche Sinopico, Mauzan, Dudreville e molti altri. Il periodico rivela già al suo esordio la vocazione di raffinato periodico d’élite, sia nell’eleganza della veste grafica, che nella scelta dei suoi collaboratori. E in qualche modo si pone come ponte editoriale tra lo stile Liberty di “Novissima” e le formule Déco di “Lidel”, a partire dal secondo decennio del Novecento. Anche Dudovich, che vince un premio e illustrerà anche la copertina di “Numero” di questo marzo del 1914, intitolata appunto all’Esposizione. Il disegno realizzato a carboncino e acquerello è riassunto in poche linee e colori e raffigura la moglie dell’artista a passeggio con il suo cagnolino in braccio, ella veste un semplice completo, porta un piccolo cappello con piuma e un ombrellino. “© 2017 archivio MD”
Durante gli anni Venti i coniugi Dudovich si separeranno definitivamente e – pur mantenendo vivo un forte rapporto affettivo, confermato negli anni da molte reciproche premure – Marcello inizierà a lasciare maggiore spazio a quella sua naturale predisposizione di seduttore e a condurre una vita costellata di flirts, amori e relazioni appassionate soprattutto con donne dello spettacolo. Nonostante questo la figlia Adriana vivrà col padre; in tarda età, riferendosi a tale periodo della sua giovinezza, ricorderà di aver avuto un solo padre, ma tante mamme. Se il Liberty aveva trovato nella femme fatale dei primissimi anni del secolo e più tardi, negli anni Dieci, in quello della vamp i suoi modelli di riferimento, l’epoca del Déco, per restare principalmente nel campo delle arti applicate, o, più completamente, degli anni Venti si identificherà preferibilmente con un modello di donna-diva, ovviamente grazie al cinema. Vi saranno tipi femminili dalla figura snella e agile – un modello che certo meglio si applica alla grafica – che esaltano il potenziale disegno della moda corrente, fatto di ritmi avvolgenti, sciolti e liberatori. Se la moda dell’epoca è fatta di figurini incorporei e disossati eppure seducenti, Dudovich (che pure in questi anni volge verso una forma grafica maggiormente condensata) si mantiene più legato alla volumetria, potenziando piuttosto – e progressivamente – l’aspetto plastico dell’immagine cartellonistica. “© 2017 archivio MD”
Negli anni Venti gli aspetti più creativi dell’invenzione artistica comprenderanno il totale artificio del trucco e della maschera, aiutando a sdrammatizzare la vita nel teatro. Perfino nella danza si evidenziano dei cambiamenti: la cultura del fox-trot rimpiazza quella del cancan immessa nel costume borghese nei primi anni del secolo, si preferisce un ballo ritmico e un poco meccanico, quasi pupazzesco. Prima di passare a considerare gli unici due generi cartellonistici presenti in tempo di guerra, e di conseguenza la produzione torinese di Marcello Dudovich compresa tra il 1915 e il 1920, che non a caso troverà nel capoluogo piemontese – divenuto la capitale italiana della moda e anche del cinema (oltre che dell’automobile) – le commissioni più soddisfacenti. Entrando negli anni difficili della guerra si assiste dapprima ad una drastica riduzione della produzione pubblicitaria e poi alla sola realizzazione di manifesti di propaganda bellica e di quelli di genere cinematografico. A questo dobbiamo inoltre aggiungere una conseguente riduzione del volume di affari per gli stabilimenti grafici; questo spinse i cartellonisti a collaborare con più officine, anche minori, e non è sempre facile identificarne nome e locazione. Le opere di Marcello Dudovich posteriori al 1914, tranne rarissime eccezioni, non verranno più stampate dalla Ricordi, ma da altre case editrici fino a quando Dudovich stesso, nel 1920, non deciderà di fondare assieme all’avvocato Arnaldo Steffenini una società editrice dal nome “Star”, di cui sarà direttore artistico dal 1922 al 1936. “© 2017 archivio MD”
A questa (ed in particolare all’“I.G.A.P.”, l’Impresa Generale di Affissioni e Pubblicità, con sedi a Milano e Roma) affiderà la riproduzione dei suoi cartelloni. Ma lo vedremo più avanti. Ora vediamo rapidamente quali cartelloni pubblicitari Dudovich riesca ancora a realizzare per il mercato italiano durante gli anni della grande guerra: datati tra il 1915 e il 1918 è un insieme di affiches che reclamizzano bevande alcoliche. Prendiamo in particolare considerazione i manifesti per la Birra Metzger, per Cinzano, per il Mandarinetto Isolabella, per Florio e per l’Amaro Isolabella. Tutti i manifesti ci risultano richiesti da case o aziende (o dalle sedi di queste) torinesi. Milano in effetti, negli anni Dieci, non ha più il monopolio della produzione industriale – legami che il cartellone pubblicitario aveva pienamente esaltato – e altre metropoli si attivano rapidamente attorno al settore pubblicitario. Molti artisti si dedicano, durante il terzo decennio del Novecento, alle arti applicate interessandosi dei più svariati settori, da quello dei servizi da tavola a quello particolare del giocattolo (da bambino o da collezione). Tra questi dobbiamo sicuramente annoverare Giò Ponti (soprattutto nella serie di oggetti di ceramica per la Richard Ginori, di cui l’artista sarà direttore artistico dal 1923 al 1933). Dudovich si adegua al mutato clima internazionale, conducendo delle ricerche figurative che permettano di risolvere coi mezzi della cartellonistica nuove problematiche. “© 2017 archivio MD”
Il mondo della commedia sociale e dei cerimoniali stucchevoli rivive sulla carta attraverso le marionette di Mauzan, di Busi, di Brunelleschi e di altri grafici. Si potrebbe ipotizzare che le maschere, i manichini e i pupazzi sorgano in luogo dei volti umani perché più adatti ad una trasposizione seriale, a quella del modello dato “in serie”; sono soggetti stereotipati che fungono da ideali testimonials nella “commedia dei desideri”. Dal manifesto alla bambola il passo è breve, così come dalla gonna plissettata di gusto rococò si passa facilmente a quella folkloristica spagnola. Introduciamo in questo modo un importante ramo dell’attività di Marcello Dudovich. All’inizio degli anni Venti (per mancanza di documentazione non possiamo essere più precisi) Dudovich si dedica, come tanti altri suoi colleghi, alla progettazione di bambole giocattolo e da collezione per la ditta torinese Lenci. Dei disegni legati a tale produzione sono stati stampati su cartoline postali coloratissime ed è in questo formato ridotto che ne ho fatto la loro conoscenza. Affrontati alcuni degli aspetti di questo intricato periodo in cui si intrecciano più movimenti, suggestioni e poetiche, fortemente reagenti gli uni sugli altri, dobbiamo necessariamente passare a considerare la produzione artistica, in particolare grafica, del periodo bellico al quale anche Dudovich non può sottrarsi ideando opere nelle quali la guerra entra come ‘sfondo ambientale’, fa semplicemente da contorno alla narrazione, sebbene ormai la vita contemporanea sia in gran parte funestata dal conflitto mondiale. “© 2017 archivio MD”
Questo probabilmente perché le esigenze realiste e drammatiche della propaganda bellica male si adattano al mondo solare e superficiale della pubblicità commerciale di cui Dudovich è maestro. Tuttavia la guerra non si può eludere, agisce anche sullo sfondo delle vicende personali, e diventa presto protagonista soprattutto nelle cartoline pubblicitarie e nelle riviste, essendo più economica la stampa sul piccolo formato. Dudovich ritrae durante gli anni Venti molte personalità dello spettacolo, dando ad ognuna una caratterizzazione, sebbene rimangano comunque, per via del tratto e della sintassi figurativa, ‘donne di Dudovich’, dalla dolce plasticità e dalla incontenibile carica sensuale, immerse tra le piume morbide di un boa, di una gonna o di un copricapo oppure celate o esaltate tra stoffe rigonfie, mosse dal vento. È così che si presentano nel 1921 Emma Sanfiorenzo, nel 1922 Nella Regini, nel 1926 e poi ancora nel 1927 Ines Lidelba. Ritroveremo queste figure scattanti nei manifesti pubblicitari di Dudovich che andremo presto ad esaminare, dove sarà protagonista una donna definita plasticamente, ma che grazie agli stilemi decorativi che accompagnano la figura, saprà mantenere un carattere gaio e spumeggiante. La volumetria, abbinata agli effetti ombreggiati del chiaroscuro, negli anni Trenta si farà via via più gravosa, fino a rilevare una solida struttura del corpo umano, con una concretezza mantenutasi costante nell’opera di Dudovich fino agli anni Cinquanta (quando alla condensazione dei dati si abbinerà una decisa caduta di stile). Lavorando a Torino nel primissimo dopoguerra Dudovich, proprio come Mauzan, realizza un numero imprecisabile di manifesti cinematografici, inoltre collabora con un giovane editore di nome Polenghi e per l’editore Ambrosio. La documentazione sulla sua permanenza in questa città, lo abbiamo precedentemente affermato, è scarsa: crea manifesti cinematografici soprattutto per i produttori “Ambrosio Film”, “Itala Film”, “Felsina Films”, “Cleo Films”, “Rodolfi Films”. Il cinema è senza dubbio un valido universo al quale rapportarsi per misurare le proprie capacità di ritrattista e il grado di maturità compositiva raggiunta. Questa neonata arte visiva non si esprime tuttavia soltanto mediante i grandi colossal storici o d’avventura, ma attinge largamente anche dal romanzo d’appendice, portando sullo schermo tutto un mondo popolare e ingenuo degno del feuilleton ottocentesco. È senza dubbio in questo genere che meglio può esprimere la sua fantasia grafica Marcello Dudovich. Il cinema del secondo decennio del Novecento è infatti colmo di grandi amatrici, maliarde e fatali, in cui l’uomo riveste la parte della “vittima”, completamente indifeso e assoggettato alla donna. “© 2017 archivio MD”
La femme fatale va in scena anche sul grande schermo del cinema, dopo esser passata su quello più ridotto del cartellone pubblicitario: ritroviamo qui gli stessi personaggi elegantemente vestiti, accessoriati di tutto punto con monocoli, ghette, bastoni da passeggio, pagliette o tube gli uomini e cappelli a cloche, borsetta sfiziosa, audaci scollature e trucco pesante le donne. Recitano i ruoli consumati della commedia della vita umana: il bel giovane irretito dalla mala femmina, l’impagabile viveur alla ricerca di nuove avventure, la viziosa adultera, la diabolica sciantosa, ecc.. Ricordiamo atri interventi grafici di Dudovich, per esempio le illustrazioni, nell’ottobre del 1919, per la rivista “Pasquino” di Torino (una pubblicazione invero non molto sofisticata, lontana dalla grafica elegante di “Numero” o di “Lidel”): a piena pagina il Nostro propone una donna spavalda e aggressiva, con la sigaretta in bocca e per di più “alla ricerca di marito”, come recita la didascalia. “© 2017 archivio MD”