Dal 1920 stabilmente a Milano: l’I.G.A.P. e la collaborazione con La Rinascente

Intorno al 1920 Marcello Dudovich lascia Torino per rientrare definitivamente a Milano, la città in cui risiederà per il resto della sua vita, fino al 1962, anno della sua morte. I primi anni Venti saranno per lui, come per molti altri artisti, anni d’inquietudine: la grande guerra ha lasciato inevitabilmente profonde ferite nell’animo umano. Difficile immaginare altrimenti. Agli operatori culturali sopravvissuti – sia fisicamente che professionalmente – infatti, nelle migliori delle ipotesi, non resta che riorganizzarsi stilisticamente e improntare il lavoro secondo nuove procedure. Durante il conflitto la ricerca figurativa non si è, come abbiamo sottolineato nel precedente paragrafo, completamente arrestata, ma anzi, ha inaugurato una nuova fase che possiamo definire “implosiva”. Superata la carica eversiva delle avanguardie del primo Novecento gli artisti italiani rispondono allo sbandamento causato dalla guerra meditando sui valori della tradizione nazionale, risolvendo in varie formule quello che va sotto l’etichetta comune di “ritorno all’ordine”. Un simile orientamento si palesa specialmente nelle sue due apparizioni alle Biennali del 1920 e del 1922, forse anche queste sintomo di un processo in atto, di una revisione in corso. Tuttavia Dudovich non prenderà le distanze dal mondo della cartellonistica che lo ha reso celebre, ma anzi, in un panorama professionale mutato, saprà riproporsi sul mercato potenziando la sua attività. Sceglierà di diventare “imprenditore di se stesso” procurandosi da solo, attraverso la società editrice “Star” da lui fondata nel 1920, le commissioni e le nuove occasioni di collaborazione. Questa soluzione sarà per lui (consacrato dalla critica, alla pari di Cappiello, come il “padre spirituale del cartellonismo italiano”) la formula migliore per restare “sulla cresta dell’onda”. Negli anni Venti cambiano di fatto sia i rapporti che il metodo di lavorare degli artisti pubblicitari e si formano facilmente delle équipes che agiscono sotto l’insegna unica di un editore litografo. A questi organismi corrisponderà la figura dell’agente, del consulente aziendale, figure professionali che inaugurano un nuovo ciclo della comunicazione pubblicitaria. La figura dell’agente si interporrà tra il cliente e lo stampatore, cercando di soddisfare quanto più possibile le esigenze di ambo le parti e portando con successo a compimento l’azione pubblicitaria. “© 2017 archivio MD”

Lasciamo per il momento il campo della cartellonistica per tornare a quanto accennato a proposito delle partecipazioni di Marcello Dudovich alle Biennali di Venezia in qualità di pittore. Diremmo pittore ritrattista, visto che espone due quadri ad olio di soggetto femminile a grandezza reale, secondo un’inclinazione che gli è propria (e alla quale accennammo nel corso del primo capitolo, durante gli anni del soggiorno bolognese). Il quadro presentato da Dudovich nel 1920 si intitola “ La signorina dalla veletta ” e ritrae un’elegante figura femminile – con tutta probabilità la moglie Elisa – vestita con un cappottino rosso-mattone liscio e abbottonato su un lato, con collo e bordo inferiore di pelliccia nera. Il titolo dell’opera deriva dal piccolo cappello che la donna porta in testa e dal quale scende una veletta. Per dimensioni e soggetto l’olio del Nostro ricorda tutta la sua produzione più popolare, ma emerge senz’altro da questo quadro quanto riscontreremo nei manifesti e cioè una nuova iconografia femminile, la stessa che va affermandosi nelle illustrazioni delle riviste contemporanee, sulle quali Dudovich interviene anche in qualità di disegnatore di moda. Si veda per esempio la copertina de “La Lettura” dell’aprile 1920: lo stesso stile sobrio nell’abbigliamento, il medesimo composto atteggiamento femminile del quadro esposto a Venezia. Questa misteriosa figura femminile dal lungo e pesante mantello scuro ha gli occhi celati da un velo trasparente, il suo abito sembra un involucro di difesa, quasi che la donna volesse proteggersi da qualcosa. “© 2017 archivio MD”

Una donna senza dubbio misteriosa e affascinante, di una bellezza confortante, senza accenti inquietanti o malvagi. E così si confermerà, con leggerissimi scarti, la donna dudoviciana durante questo decennio.
Della Biennale successiva, quella del 1922, non possiamo fornire altri dati sull’opera di Dudovich che non siano la tecnica e il titolo: si tratta di un quadro ad olio, il “Ritratto di Pina Brillante”. Per la XIII Biennale Dudovich crea il manifesto (tradotto poi anche in cartolina) ma è una realizzazione prettamente illustrativa e diremmo stereotipata di Venezia, che non interessa molto a livello stilistico: la chiesa di Santa Maria della Salute, le gondole, costumi carnevaleschi e donne alla moda. Negli anni compresi tra il 1919 e il 1921 Dudovich impiega la sua creatività nei diversi ambiti della grafica applicata, si dedica per esempio anche al figurino di moda, al bozzetto per le riviste, all’illustrazione del libro, esaurendo diverse richieste. Numerosi e continuativi gli interventi di Dudovich sulle riviste contemporanee (tra il 1919 e il 1930 collabora con almeno una quindicina di testate); in tutte queste manifestazioni il suo segno grafico resta elegante, ma è insieme forte e marcato. Segnaliamo rapidamente “Novella” alla cui immagine contribuiscono anche Angoletta, Ventura, Mazza, Bianchi, Veneziani, Bernardini; “La Festa” dove Dudovich si trovò affiancato da Nardi, Sinopico, Carboni, Curcio, Dudreville, Perone, ancora Bernardini; “La Rivista Illustrata del Popolo d’Italia” assieme agli illustratori Ventura, Perone, Sto, Bazzi, Sironi, ancora Bernardini e Perone. “© 2017 archivio MD”

Questa panoramica ci è servita per introdurre, anche in campo cartellonistico, tutta una serie di nuove leve, che andranno a costituire in Italia la seconda generazione di artisti pubblicitari. Si svilupperà di conseguenza una dura concorrenza tra i maestri dell’affiche (Dudovich, Metlicovitz, Cappiello, Sacchetti, Codognato, Mauzan…) e i nuovi adepti, orientati verso un fare più “scientifico” e programmato, quindi più “freddo” (Nizzoli, Pozzati, Sinopico, Seneca). Dopo queste necessarie considerazioni riprendiamo il discorso sull’opera cartellonistica di Dudovich considerando quei primi manifesti pubblicitari, quindi strettamente collegati al settore merceologico, che il Nostro realizza dopo la prima guerra mondiale. Nelle sue opere l’artista continua a dimostrare una manualità impeccabile abbinata ad una viva capacità di escogitare “trovate” vincenti. La sua firma si rende riconoscibile nel panorama del cartellonismo italiano, anche per la volontà di mantenere fede ad una serie di stilemi figurativi (nati nei primi anni del secolo e mantenuti vivi, seppur con le necessarie metamorfosi formali, lungo tutta la sua parabola artistica). Sulla base delle sigle ricorrenti nell’opera di Dudovich possiamo accorpare una serie di cartelloni: in tutti il tema del foulard al vento esprime un senso di movimento e libertà, una grazia decorativa che scherza al vento. Il cartellone di Dudovich per Bugatti rende nota una sensibile maturazione in corso nel linguaggio della pubblicità: la scritta, il cosiddetto lettering, subisce negli anni Venti delle modifiche a livello dei caratteri. “© 2017 archivio MD”

Dalla grafica morbida e floreale del Liberty si è passati, attraversando il Déco, ad una rigidità di tipo cubitale, ombreggiata e volumetrica. Negli anni Trenta la pagina del manifesto approderà alla formulazione di un titolo di consistenza tridimensionale che si identificherà con il logo del marchio di fabbrica. La scritta acquisterà sempre più rilevanza, giganteggiando e assorbendo nella generale orchestrazione dei volumi il prodotto, fino poi a soppiantarlo totalmente. È anche attraverso questi particolari che ci si rende conto del mutato clima culturale. A partire dal 1922 il Nostro replica in qualche misura l’esperienza positiva vissuta prima della guerra, quando si era fatto interprete, assieme ad altri cartellonisti, della ditta di confezioni napoletana “Mele”, divenendo il ‘curatore d’immagine’ pressoché assoluto de “La Rinascente” per almeno tre decenni (l’ultimo cartellone realizzato pare essere del 1955, che vede una donna prendere il sole sdraiata su un’enorme stella marina) con un numero di manifesti superiore alla cinquantina. Questi grandi magazzini, che per diffusione e permanenza sul territorio italiano sono assai più importanti di quelli dei fratelli Mele di Napoli, nacquero – curiosa combinazione – su iniziativa di due fratelli Luigi e Ferdinando Bocconi nel lontano 1877 a Milano. “© 2017 archivio MD”

Originariamente chiamati “Aux villes d’Italie”, i magazzini Bocconi avevano sede in pieno centro città, in Via Santa Radegonda, nei pressi del Duomo. Nelle maggiori città italiane sorsero presto delle filiali di vendita, tutte caratterizzate da un’offerta di prodotti di discreta qualità e a prezzi buoni. Sarà tuttavia dopo il 1919, riparati i danni del disastroso incendio nel Natale del 1918, con la nuova proprietà di S. Borletti e la sagace gestione di U. Brustio , che i magazzini fecero un salto di qualità notevole. I nuovi proprietari, attenti soprattutto ad una politica aziendale forte dal punto di vista dell’ “immagine”, ottennero la collaborazione dell’architetto Giò Ponti per ristrutturare l’edificio e chiesero a Gabriele d’Annunzio consiglio sul nuovo nome da dare ai magazzini; il poeta li battezzò “La Rinascente”, quasi che il complesso risorgesse come la fenice dalle proprie ceneri. Nei quaderni inediti dell’artista si legge che fu per interessamento del senatore Borletti, grande stimatore dei manifesti di Marcello Dudovich, che egli fu presentato all’allora vice presidente della Rinascente, il commendatore Umberto Brustio, del quale, con gli anni, divenne sincero amico. La scelta di far divenire il triestino l’unico interprete di ogni manifestazione dei grandi magazzini dipese dal fatto che “La Rinascente” desiderava promuoversi principalmente attraverso dei soggetti mondani. Tali campagne pubblicitarie diramate in tutta Italia, curate da un solo artista secondo una tensione poetica e una formulazione rigorosa, assicurarono fisionomia coerente all’azienda e immediata riconoscibilità al prodotto. A stampare i manifesti pubblicitari delle campagne pubblicitarie de La Rinascente sarà l’I.G.A.P., l’impresa grafica (Impresa Generale di Affissioni e Pubblicità, con sedi a Milano e a Roma); a questa società vengono affidate le gestioni municipali d’affissioni in tutta Italia, indi anche la stampa dei manifesti editi dalla “Star”, lo studio di creazioni fondato da Marcello Dudovich e Arnaldo Steffanini nel 1920 e di cui il Nostro sarà il direttore artistico dal 1922 al 1936. Fu proprio l’attività di Dudovich per la “Star” ad agevolare la collaborazione con i grandi magazzini “La Rinascente” e a costituire un sodalizio tra artista e azienda durato anni, tanto che tale specifica produzione cartellonistica di Dudovich può essere considerata come una “nicchia” all’interno di quella contemporanea più vasta. I manifesti firmati per questi grandi magazzini d’abbigliamento occuperanno certamente il nocciolo della sua attività di cartellonista-pittore nel dopoguerra e oltre, garantendogli, anche in tempi particolarmente infelici dal punto di vista professionale, una sicurezza economica. A cessata attività e ormai anziano, otterrà da “La Rinascente”, perfino una pensione vitalizia. “© 2017 archivio MD”

I manifesti di Dudovich rappresentano una epocale libertà di costume che verrà fortemente combattuta dal fascismo che vedeva nel rigore dell’abbigliamento una propria prerogativa. In particolare il regime, che si era reso conto dell’estrema importanza, nella cultura di massa, della moda, non si troverà d’accordo con gli espliciti riferimenti alla sessualità propagandati dalla pubblicità. Il moralismo fascista bandirà il sex-appeal della vamp e la donna da prendere a modello sarà la casalinga che stimola e rassicura, che rende esplicito il richiamo alla sessualità solo a scopo riproduttivo. Donne enormi, che abbondano nelle misure del seno e dei fianchi, come le vedremo illustrate nelle pagine delle riviste femminili – “La Donna”, “Dea”, “L’Illustrazione del Medico” oppure su “La Lettura” o “Bertoldo” – a firma Gino Boccasile. E sarà il tempo della Signorina Grandi Firme. Nella vita di Dudovich si susseguono le immagini de “La Rinascente”, a ritmo di quattro/sei creazioni all’anno, per le collezioni autunno-inverno e primavera-estate, per gli articoli per il mare e per la montagna, per i viaggi e gli sports, per la fiera del bianco e l’arredo della casa……; immagini che si concentrano essenzialmente sul modello di sartoria, sull’accessorio da reclamizzare e rispecchiano il volto più rassicurante della società, un volto “al femminile”. Questi grandi magazzini sono il luogo delle compere della media borghesia e offrono un buon prodotto a prezzo contenuto e, attraverso la produzione in serie, si uniforma anche la popolazione. Nei cartelloni per “La Rinascente” Dudovich preferisce solitamente illustrare un solo modello, esclusivamente femminile, nel centro della pagina dando così pieno risalto al modello d’abbigliamento: l’illustrazione di moda infatti si caratterizza per una prepotente carica seduttiva, funzionale alla divulgazione e all’induzione di desiderio nei confronti del capo che raffigura, con l’obiettivo commerciale della sua vendita. Coppie eleganti a passeggio compiono gesti rituali e assomigliano nella pettinatura e nella fisionomia alle celebrità dello spettacolo: teatro e cinema. Se a livello stilistico le carni si rassodano, si rapprendono fino a farsi più consistenti, chiaroscurate a blocchi compatti ed essenziali, a livello figurativo Dudovich non rinuncia al sensualismo e alla morbidezza caratteristiche della sua opera, neppure scompare quel vitalismo tante volte ammirato negli anni precedenti e la donna, intatta nella sua grazia altera, si distingue sempre per una forte carica passionale. “© 2017 archivio MD”

L’ “ordine” e la “disciplina” sono temi ricorrenti in tutto il pensiero postbellico e con evidente intento moralizzatore tali principi mirano – anche nella comunicazione pubblicitaria – a scalzare la fatuità salottiera dei decenni precedenti. Si intuiscono già chiaramente i futuri sviluppi di una simile politica espressiva. “© 2017 archivio MD”

Nel 1929 Marcello Dudovich presta la sua matita anche alla rivista “La donna”, illustrandola con soggetti femminili simili a questi appena visionati: si nota come le forme vadano ulteriormente raffreddandosi e gli abiti non cerchino più di far risaltare per contraddizione le linee del corpo, ma si adattano ad esse con naturalezza. Le gonne si allungano considerevolmente e la vita, dopo essere salita negli anni Dieci fino all’altezza del seno, e discesa, negli anni Venti, fino alle anche, torna alla sua posizione naturale. Gli abiti più significativi del tempo inguainano il corpo in una sagoma tubolare. Le stoffe si appoggiano morbidamente sul busto ma aderiscono ai fianchi in modo nettissimo, disegnano la parte centrale del corpo femminile come un volume puro, sfruttando le virtualità modellanti dello sbieca e la luminosità cangiante del satin. In queste ultime immagini di donna – sarà una combinazione? – Dudovich ci propone un soggetto “taciturno” che volge le spalle all’osservatore, mentre contempla l’infinità dell’orizzonte perso nei suoi pensieri, quasi distante e chiuso nel suo mondo. Forse l’artista vuole dichiarare, attraverso queste metafore figurative, la portata della sua riflessione sul fare artistico. Il vento che ancora soffia in queste immagini di fine stagione, più che foriero di nuove conquiste, sembra essere un brivido a pelle per un futuro del quale si ignorano gli sviluppi, ma sarà la sua spinta propulsiva a traghettare Dudovich nel decennio successivo. Negli anni Trenta infatti l’arte cartellonistica dudoviciana tenterà nuovamente di spiccare il volo, di conservare la forza espressiva dei primi tre decenni del secolo e di rinnovarsi per restare al passo coi tempi. Tuttavia, tranne qualche altro felicissimo episodio (qualche “colpo d’ala”) che resta complessivamente legato alla prima metà del decennio, l’opera del Nostro risentirà di un impoverimento, scaturito innanzi tutto dalla continua riproposizione dei medesimi soggetti. Dudovich si manterrà a galla, con una gioia di vivere più trattenuta e meno esplosiva, per tutto il quarto decennio nonostante i segni della crisi stilistica inizieranno a trapelare da sotto i colori e a farsi mano mano più pesanti sotto la pressione ideologica del regime fascista, fino al ripiegamento accusato negli anni Quaranta. “© 2017 archivio MD”

Saranno gli anni in cui Dudovich cercherà la mano di Walter Resentera, giovane allievo feltrino e poi genero dell’artista, nel tentativo (quasi disperato) di adeguarsi ai nuovi canoni estetici e di scendere a compromessi con la nuova retorica declamatoria del periodo, poi sfociata nel “gigantismo” dei grandi temi della pittura murale. Dudovich si esprimerà in modo sempre più ridotto mediante un’asciutta definizione geometrica e chiaroscurata. Attraverso una revisione insieme stilistica e iconografica, il Nostro porta a compimento quel procedimento di sintesi in chiave volumetrica della figura già iniziato negli anni Venti. Dudovich, pur continuando ad indagare le possibilità del segno in misura equivalente a quanto già fatto per il colore, lo ritroveremo in particolare intento ad assecondare le esigenze di una logica strutturale nella costruzione della forma. Il risultato conseguito sarà il possesso totale dei corpi volumetrici, evidenziati nella loro emergenza plastica. Sta di fatto tramontando l’epoca dei self-made-men della tecnica pubblicitaria. I procedimenti fotomeccanici hanno oramai sostituito i vecchi metodi di stampa litografica o foto-incisoria. E mentre l’elemento fotografico – efficace e persuasivo, che si scompone e si ricompone – trova sempre più largo impiego, con il 1930 nasce una nuova figura professionale, quella del grafico-designer. Al posto delle Officine Grafiche e delle agenzie editoriali di pubblicità sorgono – soprattutto in una città come Milano – gli studi fotografico-pubblicitari altamente specializzati, come lo Studio Boggeri: è il trionfo della fotocomposizione. “© 2017 archivio MD”

I nuovi operatori della comunicazione pubblicitaria saranno i graphic-designers e con loro si aprirà un nuovo capitolo nella storia dei grandi media; da una tecnica raffinata e manuale si è passati ad una fredda e scientifica e l’unica cosa che resterà inalterata sarà il linguaggio della pubblicità, il suo parlare popolare. Nel panorama della grafica pubblicitaria degli anni Trenta saranno tuttavia ancora compresenti i due indirizzi: quello che porta avanti l’eredità del cartellonismo italiano e francese (con Cappiello, Dudovich, Nizzoli, Boccasile in testa) e quello che segue il nuovo razionalismo (con Carboni, Munari, Dradi, ecc..) e che appoggerà il design industriale e i progetti esecutivi tecnicamente definiti, frutto non più di un singolo artista, ma di un lavoro di squadra. Gli anni Trenta del Novecento, tuttavia, sono influenzati anche da altre vicessitudini, queste di ordine socio-politico, che ci autorizzano ad accelerare il passo e a concludere questo capitolo: con la grande crisi economica mondiale del 1929 seguita al crollo della borsa di New York, avvenimento che scuoterà tutte le coscienze, si è entrati nel decennio delle grandi dittature (fascista, nazista, stalinista, franchista) contrassegnate da una disciplina rigida e da ideali di austerità e di rinuncia. Lo stato autoritario si configurerà in un unico partito guida, secondo un’ideologia globale che occuperà ogni momento della vita sociale. “© 2017 archivio MD”

In questa situazione il cartellone pubblicitario tradizionale, motivato dalle leggi interne della produzione e del commercio, perde terreno a vantaggio del manifesto inteso come strumento di propaganda politica che, accanto alla radio (ormai presente nelle case degli italiani) e alla stampa, aveva il compito di assicurare consensi alle iniziative anche economiche del regime. Intorno al 1930 cambia anche l’iconografia femminile, si afferma infatti la “donna-crisi”, cosiddetta per via dalla crisi economica mondiale, ma anche perché il termine vale come sinonimo di carenza, come se la nuova donna avesse dei “meno” rispetto al precedente modello di donna alla maschietta degli anni Venti. Negli anni Trenta le gonne e i capelli si allungano, tornano personaggi dai gesti languidi e il corpo viene irrobustito, sebbene il petto è ancora, nella maggioranza dei casi, quello piatto della garçonne. La sola eccezione la presenta ovviamente l’Italia, dove il fascismo desidera illustrare donne-madri, donne-matrone. Si afferma da noi il mito della donna massaia (ma che sappia essere anche sensuale) e la moda diventa un affare da casalinghe, da madri, perché la politica di regime tende a far dimenticare i languori della magrezza seduttiva, troppo inquietante, degli anni Venti. L’iconografia femminile esalta i punti cardine della femminilità, a fondamento della figura della donna, come il seno e il fondoschiena, la vita è segnata, i fianchi fasciati e i capelli disegnati secondo un moto ondoso e morbido. Siamo arrivati ad un punto nel quale le icone pubblicitarie non sono più dei simboli, ma rappresentano solo loro stesse. Marcello Dudovich continuerà a produrre opere fino allo scoppio della seconda guerra mondiale; oltre quella frattura non ci sarà poi davvero più appello per l’anziano cartellonista. “© 2017 archivio MD”

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