L’esperienza artistica a Monaco di Baviera, come inviato speciale del “Simplicissimus”

Nell’anno 1911 Marcello Dudovich sposa Elisa Bucchi e con lei lascia Milano per raggiungere la città di Monaco, accettando l’offerta dell’editore Albert Langen, che gli ha proposto di collaborare con la sua rivista, il “Simplicissimus”, di cui è direttore assieme a Thomas Theodor Heine. Dudovich illustrerà per circa quattro anni, con tavole di soggetto mondano, la “pagina della galanteria” del giornale tedesco, in sostituzione del defunto von Reznicek. Abbiamo più volte menzionato il ruolo attivo svolto dal “Simplicissimus” nei confronti degli sviluppi della grafica in Europa – e di cui ha marcato i contorni almeno fino agli anni Venti – considerando i suoi principali animatori, tuttavia conviene qui rapidamente ricordare qualche nome al fianco dei quali Dudovich si trovò a lavorare: Kainer, Schultz, Heine e Thöny. Mostri sacri dell’illustrazione germanica. Rispetto agli altri, Thöny e Reznicek restano tematicamente più prossimi al Nostro perché interessati soprattutto alla rappresentazione delle eleganze femminili, illustrate in tavole dal contenuto spesso piccante. Thöny è conosciuto come caricaturista del mondo militare e nei suoi disegni la donna gioca un ruolo decisivo in quanto serve all’artista per mettere in ridicolo sia la meschinità dell’esercito che la ferrea disciplina che vi regnava: Di lui scriveva Dudovich in una sua lettera:

“………Le donne di Eduard Thony sono tutte donne elegantissime, imponenti, amiche di ufficiali che reggono le fila di molti intrighi, donne fatali che fanno rigare persino il signor generale. Creature piene d’orpello, donnine perfide, intriganti, uomini deboli, marionette”. “© 2017 archivio MD”

Reznicek fu l’autore di importantissimi albums di grande formato quali Sie, Der Tanz, Galante Wekt, che ripropongono una selezione antologica delle sue illustrazioni meglio riuscite; alla sua morte il posto reso vacante venne occupato da Dudovich che …

…“seppe portare una nota più maschile, più personale lanciando quelle sue sensuali donnine dai corpi ideali che si adagiano mollemente, vestite o meno, su divani porporini o su soffici cuscini. “

Anche dalle illustrazioni di Dudovich – come pure da quelle di altri collaboratori – Albert Langen ricavò un album pubblicato a Monaco nel 1913 e intitolato “Corso”, la riedizione dello stesso fu curata da Roberto Curci nel 1985. “© 2017 archivio MD”

Ma ancora più fondamentale si rivelerà, a livello di circolazione capillare, l’abitudine consolidata (propria di molte riviste contemporanee, tra cui “Jugend”, i cui direttori sfruttano il successo editoriale dei giornali per iniziative di “immagine” collaterali) di stampare numerose serie di cartoline di soggetto mondano, anche queste destinate a svolgere un ruolo primario nella divulgazione della grafica d’avanguardia negli anni compresi tra il 1891 e il 1914. Le immagini raffigurano soprattutto soggetti femminili e confermano una tipologia di donna già apparsa sui cartelloni pubblicitari, ovvero una donna che fuma, che fa sport, che frequenta locali notturni o che vestita elegantemente cammina con passo deciso. Tali cartoline postali rappresentano per il pubblico femminile l’apoteosi dell’emancipazione, mentre in verità – attraverso un’apparente accettazione di rinnovamento del costume – esse perpetuano una forma di sfruttamento della donna. Queste immagini più o meno provocanti conosceranno notevole fortuna e diffusione durante la prima guerra mondiale (se quelle più leggere vengono usate per la corrispondenza dal fronte tra innamorati, quelle di carattere più scabroso, ma tanto care all’immaginario popolare, circolano soprattutto tra i soldati). Per queste raffigurazioni matura a livello del linguaggio la denominazione “donnine”, appellativo poi allargato e riferito più tardi anche ai soggetti cartellonistici (inclusi quelli di Dudovich), ma soprattutto l’interesse intorno alle cartoline cresce fino a diventare una moda collezionistica, culminata negli anni Trenta in vero e proprio fenomeno di massa. Bisogna tuttavia ricordare che attorno all’illustrazione artistica, ma soprattutto al cartellone pubblicitario d’autore si concretizza in questi primissimi anni Dieci un acceso interesse. Per restare in Germania si porta il caso della rivista stampata a Berlino tra il 1911 e il 1914, “Das Plakat”: qui si considerano vari aspetti della pubblicità cartellonistica, non limitandosi a presentare i maggiori artisti contemporanei come Julius Klinger, T. T. Heine, Lucian Bernhard, ecc…, ma con estrema intelligenza critica si considera il manifesto in rapporto all’aspetto della città (strade, stazioni, luoghi pubblici, ecc…). Mentre, per tornare al “Simplicissimus”, diciamo che il mondo fermato sulla carta da Dudovich e da altri illustratori della rivista non si discosta molto da quello che si può trovare nelle pagine di altre grandi riviste europee, per esempio la francese “Le Frou Frou”. In questi anni monacensi Dudovich collaborerà saltuariamente, nel corso del 1912, anche con un’altra rivista tedesca, il “Meggendorfer Blätter”, mentre rimarrà al “Simplicissimus” fino allo scoppio della prima guerra mondiale, “quando non poté sopportare, egli figlio di garibaldino, che i suoi disegni uscissero vicino alle vignette umoristiche che denigravano l’Italia.” “© 2017 archivio MD”

È necessario quindi che il lettore tenga sempre presente, mentre sfoglia le tavole di Dudovich per il “Simplicissimus”, delle molteplici sollecitazioni che l’artista si trova a dover gestire a livello stilistico grazie all’apporto delle varie esperienze raccolte nei suoi viaggi europei (a Londra, a Deauville, a Parigi, a Montecarlo, ad Ostenda, a San Remo, a Saint Moritz, ecc…). Sostanzialmente si può affermare che l’artista non si discosta troppo da un graffiante Espressionismo che comprova l’esistenza di una nostra fortissima avanguardia, non necessariamente protestataria, ma anzi in buona misura solidale con una borghesia che ha ritrovato piena fiducia in sè, dopo gli smarrimenti fin de siècle. Inoltre Dudovich non metterà mai in discussione nell’arco della sua carriera la fenomenologia di un’arte fondata sulla figuratività, quale nucleo imprescindibile del rapporto arte-vita, sinonimo dell’arte-conoscenza. L’apporto di una nuova sensibilità, il ruolo spirituale di questa nuova e libera espressione artistica, si evince anche dai commenti che l’artista affida ai suoi diari da cui evinciamo queste splendide parole :

“ L’artista quando imita il vero, copia la realtà, negli aspetti delle cose della natura, delle persone, infine dell’esterno [sottolineato nel testo] specchio e vede i caratteri, la sagoma della sua figura interiore. Cioè: in quelle forme, in quei colori, in quei toni, l’artista vede non già la natura fotografata, ma il tipo la immagine [secondo] i caratteri della sua personalità così il pittore o lo scultore, sulla tela, e nel marmo, copia imita ripete, non la piatta e mera natura, ma una trasformazione una interpretazione di essa. L’interiorità dell’artista ha formato ripensato risentito ricreato l’aspetto pittorico o scultoreo del mondo, nello stesso istante intuitivo in cui il mondo ha contemplato. Così nell’opera d’arte, non ha imitato la natura ma se stesso”.

Dudovich potenziò soprattutto, durante gli anni che lo videro viaggiare attraverso l’Europa come illustratore del “Simplicissimus”, la componente espressionista nel senso del colore antinaturalistico. Come poi capiterà anche ai colleghi del “Cavaliere azzurro” per Dudovich si renderà necessario abbandonare, dopo il 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale il percorso fino allora intrapreso. Verrà anche per il Nostro il tempo dell’implosione, del “ritorno all’ordine” secondo una plasticità in stile “Novecento”. Ora ci occuperemo specificatamente di alcune delle tavole create per la rivista monacense, ma le rimanenti si possono tranquillamente accorpare alle prescelte in quanto appartengono agli stessi “sotto-insiemi” significativi, a quei nuclei figurativi che Dudovich ha indagato durante i suoi soggiorni all’estero. “© 2017 archivio MD”

Possiamo in effetti suddividere la sua produzione per “argomenti” a seconda del soggetto illustrato: la vacanza (al mare o in montagna), i momenti privati, le occasioni mondane, le feste in maschera
Non abbiamo finora affrontato il fondamentale discorso che riguarda la tecnica utilizzata dall’artista; ebbene, i fogli definitivi sono delle cromolitografie, mentre i bozzetti originali sono realizzati a guazzo, con una trama grafica a matita o a carboncino. Le misure delle tavole rettangolari (spesso molto prossime al formato quadrato) sono mediamente comprese tra i venti e i venticinque centimetri Secondo Villani [l’artista]

“ pur giovane ha saputo formarsi una giusta reputazione [ed è ora] peregrinante fra Milano e Monaco, diviso fra le grazie d’un cartellone e quelle di una caricatura del “Simplicissimus”. Il Dudovich è molto giovane, perciò nella sua opera vi sono molte donne, donne giovani ed eleganti e civettuole, di cui egli sa ritrarre le grazie insinuanti con una finezza non priva d’ironia; un’ironia garbata e devota, pronta a lasciarsi soggiogare… “. Non bisogna infatti dimenticare che durante il periodo compreso tra il 1911 e il 1914 Dudovich continua a mantenere forti legami con lo stabilimento Ricordi e a creare importanti manifesti pubblicitari, soprattutto per la ditta di confezioni “Mele”, come vedremo. Fin dagli esordi Dudovich aveva mostrato di saper interpretare in modo felicissimo la figura femminile, insistendo su un tipo di donna dolce, elegante, gioiosa, resa con una tavolozza semplice, ricca di tinte morbide. Resterà per sempre questa una caratteristica del cartellonista e del disegnatore Dudovich, forse perché egli aveva un vivo trasporto per il gentil sesso, ma anche perché aveva capito che l’elegante figura femminile poteva esercitare sempre una notevole attrazione, sia sugli uomini che sulle donne. L’impegno di Dudovich (fornire alla rivista “Simplicissimus” una tavola di soggetto mondano alla settimana) si traduce quasi in un’operazione introspettiva, in un frugare curioso nel fluttuante andare e venire di ombre, sorrisi e sentimenti. L’artista fa scorrere sotto ai nostri occhi frammenti di storie, per noi un lontano ricordo del passato valido come testimonianza storica, di un mondo alle sue ultime apparizioni. Dudovich segue un proprio, assorto e altamente lirico itinerario, dando ampio spazio alle sue innate capacità ritrattistiche e regalandoci tipi umani fisionomicamente espressivi, talora grotteschi e talaltre estremamente delicati. “© 2017 archivio MD”

Dove possibile siamo riusciti a confrontare le illustrazioni per il “Simplicissimus” con numerose fotografie che lo stesso Dudovich ha scattato, come è sua abitudine, durante i viaggi e i trasferimenti. Il sostanziale corpus di istantanee reperite e acquisite testimonia una volta di più quanto fosse sistematico l’uso della fotografia da parte dell’artista, che se ne serviva per la futura rielaborazione grafica .Le tavole comprensibilmente più serene, dai colori pastello e dalle tinte solari, dall’atmosfera tersa e spensierata e solo poche volte tradita da una trepida sospensione, sono quelle ambientate al mare, sulla spiaggia o in barca, che sorprendono momenti di rilassatezza e svago durante i periodi di vacanza. Passiamo delicatamente, senza che neppure in questo caso vi sia la percezione di una cesura, a considerare un altro sotto-insieme tematico probabilmente il più copioso, quello delle occasioni mondane ovvero i balli, i ricevimenti, le serate a teatro, i colloqui galanti, le giornate ai campi delle corse. Tutto quello che rientra nelle abitudini e nei rituali dell’alta società europea Dudovich lo ha fissato sulla carta e prima ancora sulla pellicola fotografica. Una veloce carrellata sulle immagini che Dudovich ha riportato sulle pagine del “Simplicissimus”, stampate poi nell’album “Corso”, ci permette innanzi tutto di conoscere la moda degli anni Dieci, sia in fatto di costume che in fatto di moda. Sono numerose le tavole che ritraggono coppie eleganti a passeggio, donne sole o in crocchio che osservano e spettegolano fuori da teatro: tutte occasioni buone per l’artista per soffermarsi sulle singole toilettes. I modelli femminili in questi anni vogliono ancora un abito lungo a coprire anche la caviglia, mentre nei copricapi vi è l’alternanza di due soluzioni, un cappello dalla tesa ampia (con leggere modifiche rispetto a quelli già incontrati nei cartelloni pubblicitari precedenti gli anni Dieci) con decorazioni e fiocchi in tulle o in raso e un cappello a cloche, a falde larghe e molto abbassate, con piume o nastri sulla sommità.
Lo stesso Dudovich ci dice:

“È difficile descrivere l’eleganza e la ricchezza con cui si viveva in quegli anni felici che precedettero il massacro della prima guerra mondiale. A Deauville, all’ora del porto (si prendeva a mezzogiorno come un aperitivo) la passeggiata era affollata delle più belle donne che abbia mai visto e dei più eleganti e opulenti cavalieri. La sera, al Casinò, dopo teatro le giovani e le vecchie signore ricoprivano le tavole della roulette e dello chemin-de-fer di monete e di biglietti di grosso taglio con una sovrana indifferenza.. “ “© 2017 archivio MD”

Tutta questa mondanità Dudovich saprà riassumerla attraverso la lente appena deformante dell’ironia, ma sempre con muto compiacimento. Molte delle immagini “rubate” sono il prodotto di rielaborazioni dalle istantanee fotografiche, ma tale abitudine non deve essere considerata una comoda scorciatoia adottata dall’artista in quanto vennero adoperate, alla stregua dei bozzetti, come memoria visiva. Il dipingere dal vero, ma a memoria, favorisce notevolmente la sintesi delle impressioni. Ma leggiamo le sue parole scritte a diario:

“Tornavo in albergo, e con la testa ancora piena di quelle eleganze, puntavo il mio foglio da disegno sulla porta e cominciavo a delineare a memoria le silhouettes delle belle dame che tutti voi conoscete…”

In altre illustrazioni del genere – che come le precedenti descrivono le occasioni mondane, il colore non trova espressione infatti le tavole sono sommariamente risolte in sfumature grigie o seppia – si succedono i soliti soggetti borghesi ma calati in un contesto preciso, sorpresi nel loro ambiente, come per esempio a colloquio su una terrazza, in una casa privata dopo la riunione salottiera, nel foyer di un teatro, oppure ad un ricevimento, ad un ballo in maschera. Dudovich sintetizza abilmente il fugace trascolorare delle espressioni e coglie i gesti decisivi dei personaggi. Queste sono tranches de vie che decretano la fortuna e la diffusione della cultura altoborghese anche nei ceti sociali di mezzo, ma c’è un milieu in particolare che, pur mantenendosi aderente al gusto snobistico, riscuote un gran successo in ambienti più popolari: le corse ippiche. Nella copiosa produzione grafica che immortala il mondo degli ippodromi, dei campi di gioco a cavallo e delle corse, si legge in filigrana un Dudovich consapevole che, con una grande carica di humour, si è assai divertito a mischiarsi e a confondersi tra la folla dei numerosi “viveurs” ed eleganti signore, spesso in compagnia di stupidi cagnolini di razza, che si accalca in prossimità degli steccati e degli spalti a ridosso del campo per godere al meglio dello spettacolo. Tutto questo è testimoniato da una serie di curiose istantanee scattate dall’artista negli ippodromi di mezza Europa tra il 1912 e il 1913. In una si riconoscono i coniugi Dudovich; un’altra invece, preziosissima anche ai fini di uno studio sociologico, ritrae un gruppo di benestanti signori riuniti sull’erba per un pic-nic mentre alle loro spalle si snoda una fila di poveracci; altre ancora catturano il passaggio di una carrozza con signore a bordo, oppure gruppetti di persone in attesa delle gare; qualcuna illustra il gioco del polo; altre fantini e cavallerizzi in un momento di riposo. “© 2017 archivio MD”

Ed ecco per il “Simplicissimus” i soggetti ricavati dal mondo degli ippodromi: un fantino con una scusa qualsiasi avvicina una donna che pare non gradire le sue attenzioni; una signora elegante siede da sola vicino allo steccato del campo delle corse, guarda verso di noi e pare voglia suggerirci qualcosa. In cielo vola un aereo. La composizione di questa tavola è altamente sintetica, scandita dalla staccionata orizzontale e riassunta in una distesa verde che sale fino alla linea dell’orizzonte: “ quando i dipinti riescono a trovare il giusto equilibrio tra i deliri lineari e il riempimento cromatico, il risultato è forte, sicuro, colmo del fascino dell’“opera unica”, provvista di aura.” L’ultima categoria con la quale abbiamo voluto ordinare, in via del tutto approssimativa, i lavori di Dudovich per la rivista monacense è quella delle feste in maschera. È probabilmente in queste tavole che più drasticamente si palesano nell’opera del Nostro le influenze dell’Espressionismo tedesco del gruppo “Die Brücke” (trasferitosi da Dresda a Berlino nel 1913), di Kirchner soprattutto. Tuttavia è in questo contesto che tornano alla mente le maschere orrorifiche e proto-espressioniste di Ensor, che abbiamo trattato brevemente nei paragrafi precedenti. Con la loro violenza e la loro carica drammatica si collocano alla base delle scelte pittoriche della generazione successiva, quale è quella di Dudovich e degli espressionisti. Si rintracciano poi delle notevoli consonanze tra i dipinti di Ernst Ludwig Kirchner – si pensi a Scena di strada a Berlino del 1913 oppure a Al Caffè del giardino del 1914 – e le tempere acquarellate di Marcello Dudovich. Senza considerare che il tema della mascherata conquista nelle arti figurative uno spazio sempre maggiore, come vedremo più avanti (anche se verrà traslata su un registro diverso, ironico certo, ma ludico e divertente). Al posto dell’atmosfera raffinata, smemorata e ammiccante della maggior parte delle tavole precedenti, se ne sostituisce una altrettanto coinvolgente, ma carica di tensioni emotive che in alcuni casi sfiorano il dramma. Dudovich cerca di dare un volto ai timori di una classe sociale ormai corrotta e prossima al tracollo, cerca di esorcizzare i fantasmi di un futuro incerto e gli incubi di una guerra ormai imminente. Il lettore del “Simplicissimus” passa senza soluzione di continuità dagli interni agli esterni, dai saloni e dai boudoirs alle terrazze e ai giardini; si mescolano volti e oggetti, ma soprattutto colori e odori, che quasi ci pare di percepire. Lo spazio suggerito da Dudovich si deforma o si comprime, è reso più soffocante dagli ambienti chiusi e affollati da silhouettes femminili dai colori per lo più artificiali, cui fanno da contrappunto le sagome nere degli uomini. La generazione espressionista si muove infatti in uno spazio chiuso, privo di vie d’uscita, si serve del figurativo ma lo disprezza, lo maltratta con violenza. “© 2017 archivio MD”

I personaggi recitano ruoli ambigui, al limite del lecito – secondo una provocazione che non varca mai il limite della volgarità – e gli atteggiamenti più spinti e lascivi vengono messi in ridicolo, quasi che con l’ironia Dudovich potesse risparmiare al pubblico una compromissione eccessiva. Ma il fascino del proibito, l’attrazione a scandagliare i recessi dell’animo umano, si conferma irresistibile ed è così che Dudovich scopre nuove relazioni armoniche tra gli elementi e nuovi, irreali, vertiginosi rapporti coloristici.  In queste tavole di “feste in maschera” l’uomo ci pare solo con se stesso, con la sua miseria umana, ma anche col proprio potenziale psichico, con la sua fonte di energia interiore. I volti vengono trasfigurati da pulsioni primigenie, libidiche, ed è forse per questo che le persone tentano di nascondersi, in extremis, sotto le maschere. Dudovich dà testimonianza di una realtà contemporanea fallimentare e corrotta, ma senza inasprire i toni della polemica, senza farne denuncia sociale. La ricerca di Dudovich è orientata in direzione propriamente stilistica e non etica, e non potrebbe essere altrimenti visto che comunque l’artista resta affascinato dall’artificio e dalla sofisticazione legati alla sfera mondana, ai riti e alle nevrosi metropolitane. Dudovich si definisce infatti “disegnatore di moda e mondanità” Giulio Ulisse Arata descrive la tecnica utilizzata dal triestino nel suo contributo alla rivista “Simplicissimus” – ottima palestra nella quale Dudovich ha potuto esercitare e dare sfogo alla sua duplice qualità di disegnatore e di pittore.  Dudovich fu un cartellonista di temperamento libero, un grafico d’avanguardia senza essere di rottura, un innovatore sempre rispettoso della ‘buona forma’ pittorica. Fu un protagonista della cultura figurativa della prima metà del secolo, consapevole delle enormi potenzialità insite nel mezzo cartellonistico e nella illustrazione di rivista; anche anziano non rinunciò ad affermare l’importanza di queste forme d’espressione:

“Per me il mondo è stato sempre bello e per questo se dovessi rinascere pregherei il buon Dio di rimettermi in vita tale e quale quello che sono stato. Io mi sono accorto che l’arte del figurino non è un’arte frivola, come molti credono, perché essa rappresenta scene di vita; mentre nei quadri che vedo esposti nelle mostre contemporanee la vita è bandita. La mia convinzione è che [in] questa epoca artistica sfortunata sopravviveranno i figurini e le illustrazioni: non certamente i quadri.”  “© 2017 archivio MD”

Dudovich non ha lo spirito corrosivo degli umoristi e caricaturisti, ma il suo disegno è ugualmente vigoroso e avviluppante, sottilmente ma necessariamente ironico perché “è l’ironia che crea distacco, il superamento e la de-sublimazione nei confronti della sessualità, rivelandone i trucchi e gli orpelli, ma è nello stesso tempo l’ultimo trucco, la maschera, dietro la quale il sesso, poi, rimane sempre anche se i personaggi si scambiano le parti della recita e si travestono secondo opportunità e convenienza.”

E’ lo stesso Marcello Dudvich a rivelarci che:
“A Parigi andavamo alle corse di Auteuil e di Longchamp; la sera alle prime di Tristan Bernard e di Moissi. “Fuori servizio” mi incontravo con Libero Andreotti ed Enrico Sacchetti, gli inseparabili che si erano stabiliti a Parigi. Andreotti era un protetto del sarto più illustre dell’epoca, il Worth, e aveva uno studio magnifico.”

Ed ecco quindi quali sono le occupazioni dell’“inviato speciale” Marcello Dudovich tra il 1911 e il 1913: frequentare i luoghi e i locali alla moda per garantire al “Simplicissimus” una tempestiva segnalazione visiva su quanto di più caratteristico capitava nel resto d’Europa. Sono anni fondamentali che preparano al mutamento di gusto degli anni Venti: la moda è tra le forme espressive più all’avanguardia, infatti il figurino di moda, guadagnata una maggior consapevolezza del suo valore artistico, è un’espressione fondamentale del Déco per il suo carattere insieme sintetico e decorativo, per il suo stile dalle forme semplificate e dai colori brillanti
Uno dei centri propulsori del gusto déco a Parigi è sicuramente l’Atelier Martine, fondato nel 1911 da Poiret e attivo in molti settori delle arti decorative: è un laboratorio che produce infatti tessuti, tappeti, carte da parati, mobili e lampade. Il portavoce del nuovo gusto è appunto il sarto Poiret: la sua rivoluzione non consiste tuttavia unicamente nell’adottare colori vivaci, ma piuttosto nel modo di guardare ed interpretare il corpo della donna. Si ricordano due eccezionali disegnatori di moda: Paul Iribe e Georges Lepape. Oppure Marcel Vertés, un francese che disegna personaggi alla moda con grande maestria; in Italia, volendo fare un confronto, si può dire che sia Umberto Brunelleschi (che già da anni risiede a Parigi) gli sia molto prossimo; così come Sergio Tofano, detto Sto. I disegni di moda offrono, a livello iconografico, uno spaccato quanto mai calzante degli orientamenti stilistici degli anni Dieci. Esistono per esempio modelli di abiti all’orientale lanciati dal sarto Poiret, diffusi anche in Italia grazie alle cartoline postali, a ricordarci quanto i Balletti russi contribuirono non solo in pittura e in teatro a rinnovare il gusto dell’epoca. “© 2017 archivio MD”

Sergej Djaghilev era sbarcato a Parigi nel 1909 con la sua compagnia teatrale, portando con sè lo scenografo e costumista russo Léon Bakst (1866-1924), che esporrà una serie di pitture di soggetto orientale alla Biennale del 1914.

Prima di inaugurare la nuova stagione espressiva di Dudovich, già annunciata nella svolta stilistica dei suoi cartelloni e delle sue illustrazioni sopraggiungerà il 1914, anno che vede Dudovich lasciare Monaco e tornare a Milano a causa dello scoppio della prima guerra mondiale. Tra le molteplici collaborazioni attivate da Dudovich nel primo decennio del novecento troviamo quella con la rivista mensile del “Touring”, nata nel 1895 come modesto bollettino e tale mantenutasi fino al 1900 col nome di “Rivista Mensile del Touring Club Ciclistico Italiano”, fino ad assumere la denominazione di “Rivista Mensile del Touring Club Italiano” nel 1921 e fondersi con “Le Vie d’Italia”. Il Touring, che ha sempre vantato numerosi collaboratori tra i letterati e gli artisti (ricordiamo che Dudovich vi collaborò già a partire dal 1899), affida tra il 1912 e il 1918 alcune delle sue pagine alla penna di Marcello Dudovich. Nella prima illustrazione pubblicitaria del febbraio 1912 si reclamizzano i modelli automobilistici della “SPA” di Torino: a bordo di un autoveicolo quattro personaggi salutano con i fazzoletti il volo di un aereo. In questi anni improntati alla scoperta di nuove velocità e di nuovi spazi aperti, si prepara ad affermarsi anche il mito dell’aviazione, che esploderà pienamente durante il secondo conflitto mondiale. Disegnata a matita e carboncino e chiaroscurata come la precedente, è l’altra illustrazione del Touring del numero di dicembre 1915. L’Italia è ormai entrata in guerra e Dudovich sente la necessità di ambientare la pubblicità del “Cordial Campari” in una trincea. Durante la guardia notturna tre soldati si concedono una pausa: uno beve un bicchierino, uno suona e canta, probabilmente l’altro sta fumando. In cima al terrapieno, affiancata al fucile e puntata come un cannone contro il nemico, Dudovich pone una gigantesca bottiglia di Campari. Tra gli opinionisti che collaborano con la rivista del “Touring Club” si segnalano Mario Morasso e Giannino Antona-Traversi perché entrambi si sono rivolti a Dudovich per illustrare i loro testi. Per Morasso il Nostro crea dieci piccole tempere (ristampate in bianco e nero) per La nuova guerra: armi, combattenti, battaglie. Milano, Treves, 1914; Traversi invece ricorre a molti grafici contemporanei per illustrare la sua pubblicazione satirica Gli Unni e… gli altri!, Ravà & C. Editori, Milano, s.d. (1915?). Questo testo contiene le idee e i motti scritti dall’autore contro la politica della prima guerra mondiale e accompagnati appunto da illustrazioni di notevoli pregio: tra gli altri vi sono Bonzagni, Dudreville, Mazza, Sacchetti, Tofano e Ventura. “© 2017 archivio MD”

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