Expo internazionale di Milano del 1906

Abbiamo seguito il percorso frammentato degli spostamenti di Marcello Dudovich che ci hanno portato, attraverso l’anno 1905, ad abbandonare la città di Bologna per seguirlo a Genova, ma nei primi mesi del 1906 i contorni della sua vicenda ricominciano a farsi chiari: Dudovich ritorna a Milano, il luogo che lo vide nascere come cartellonista pubblicitario. La scelta dell’artista di rientrare in seno alle Officine Grafiche Ricordi nel 1906 acquista maggiore spessore se consideriamo che nel capoluogo lombardo si sta preparando un avvenimento assai stimolante e di importanza europea: l’Esposizione Internazionale collegata all’inaugurazione del traforo del Sempione. Il ventottenne Marcello Dudovich partecipa assieme agli altri cartellonisti di Casa Ricordi – Hohenstein, Metlicovitz e Mataloni – al concorso indetto per scegliere il manifesto pubblicitario che rappresenterà l’Esposizione: vengono premiati tutti e quattro, ma i lavori saranno stampati su supporti diversi e utilizzati per vari scopi reclamistici, dalla cartolina postale al francobollo. Fu una “grande impresa” pubblicitaria organizzata su più livelli e mediante diversi mezzi d’informazione; si pensi che gli stessi avvisi comparsi sulla stampa (quotidiani, fogli settimanali e mensili politici, letterari, scientifici, commerciali) furono distribuiti attentamente. Inoltre, allo scopo di evitare una réclame uniforme, antipatica e troppo commerciale, l’ufficio di pubblicità ebbe cura che il medesimo articolo non uscisse contemporaneamente sui giornali della stessa città, e, possibilmente, della stessa regione. “© 2017 archivio MD”

La realizzazione di Dudovich per l’Esposizione Internazionale di Milano ci è sconosciuta, mentre quella di Leopoldo Metlicovitz è stata scelta e riprodotta sia come cartellone ufficiale della manifestazione, sia come francobollo, il progetto di Mataloni invece venne utilizzato come cartolina postale. Del manifesto creato da Dudovich per l’Esposizione di Milano si sono perse le tracce, ma lo possiamo comunque inserire nel corpus conosciuto dell’artista, giudicato da Igino Consigli con queste parole: “Peculiarità dell’opera di questo straordinario graphic designer, che enormemente ha contribuito a conferire un carattere di originalità alla grafica pubblicitaria italiana, è di collocarsi quasi fuori da ogni schema: non trova infatti affinità con le multiformi espressioni di scuola francese o belga, non si può inserire nella rigorosità estenuata del graficismo tedesco, sarebbe arduo porla tra le fredde compostezze del lettering anglosassone e offensivo trovarle comunicazione con certe grossolanità nostrane. A differenza di Metlicovitz poi, che non riesce mai a slegarsi dai condizionamenti pittorici – soprattutto simbolisti -, intimistici e melodrammatici, riassume sempre scene, personaggi e situazioni della sua epoca col piglio incisivo del cronista, fissandoli come in una istantanea”.  “© 2017 archivio MD”

Ma l’Esposizione Internazionale di Milano segna una tappa fondamentale nella carriera di Dudovich per un evento che esula dalla sua ormai consolidata attività di cartellonista pubblicitario: egli viene infatti chiamato a decorare le pareti esterne del padiglione italiano delle arti decorative. La commissione nasce da un avvenimento puramente fortuito – è bene sottolinearlo – ovvero da un incendio che devastò completamente la precedente costruzione, ma prima di addentrarci nello specifico di questa prima impresa decorativa di Marcello Dudovich è bene avanzare delle considerazioni di ordine generale sull’esposizione milanese. Promossa quattro anni dopo la felice Esposizione Internazionale di Torino del 1902 che sanzionò ufficialmente la penetrazione dello stile Liberty in Italia, la rassegna di Milano del 1906 – inficiata fin dall’origine dalla retorica delle celebrazioni per il traforo del Sempione cui è dedicata (a questo orientamento non si sottraggono – come si è già visto – neppure i cartellonisti gareggianti) – non riesce a rinnovare i fasti di quella torinese. Sebbene l’iniziativa fosse scaturita da ottime intenzioni, ovvero confermare e assieme avvalorare le ragioni della scelta decorativa modernista, il risultato complessivo – Vittorio Pica se ne accorse immediatamente – fu la nascita di un nuovo eclettismo che determinò il carattere involutivo delle ultime espressioni del Liberty internazionale di cui Milano fu testimone. “© 2017 archivio MD”

Ma se il tono generale della mostra è celebrativo – gli organizzatori intendono infatti sottolineare in prima istanza il progresso, l’evoluzione industriale e i traguardi della tecnica in un’atmosfera di compiaciuto nazionalismo – l’esposizione di Milano esprime un dato positivo nel sancire il crescente interesse per il “nuovo” nel campo delle arti applicate. A queste infatti viene offerta una sede espositiva a parte, separata dalle arti maggiori. Tuttavia sono proprio i risultati ottenuti in campo decorativo (parte degli oggetti resta documentata solo in fotografia perché distrutti dall’incendio) a meglio testimoniare uno stile che da Liberty-floreale declina in un imbastardimento Liberty-classico-accademico. Abbandonata la speranza, viva a Torino, di realizzare il bello nell’oggetto d’uso comune e destinato al largo consumo, a Milano si puntò su un bello elaborato e vistoso cui solo una piccola parte della società poteva accedere, riservando agli altri delle ripetizioni banali e senza originalità. Tra gli elaborati più apprezzabili si annoverano i mobili di Quarti, di Basile e di Ducrot, le vetrate della ditta Beltrami, i ferri battuti di Mazzuccotelli e le ceramiche di Chini. Dopo queste utili note di approfondimento ritorniamo a quanto accennato in precedenza a proposito dell’intervento pittorico di Marcello Dudovich sulle pareti esterne del “Padiglione Arte decorativa” all’Esposizione Internazionale di Milano. Devastato da un incendio che brucia anche il vicino “Palazzo dell’Architettura”, i due padiglioni vengono interamente ricostruiti senza rispettare i canoni precedenti. È così che il nuovo volto assunto dalle architetture rende concreto e visibile il divario che intercorre tra questi e quelli preesistenti: mentre i precedenti – come abbiamo più sopra accennato – si uniformano, senza distinzione alcuna, al bianco dei materiali di rivestimento esterno, i nuovi sono variopinti. “© 2017 archivio MD”

Quindi, in seguito a questo incendio che coinvolse l’intero padiglione italiano e quello ungherese attiguo al nostro, Marcello Dudovich viene chiamato ad intervenire sulle pareti esterne della sezione di “arte decorativa”.
Affidiamo ancora una volta la descrizione di questo intervento a Pica: “Il favore, con cui è stata quasi universalmente accolta la figurata policromia esterna ed interna degli edifici della rinnovata mostra d’arte decorativa italiana, è dovuto sopra tutto alla fantasiosa e garbata genialità di due giovani e valenti pittori: Galileo Chini di Volterra e Marcello Dudovich di Trieste”. “© 2017 archivio MD”

Se infatti Marcello Dudovich dipinge le pareti esterne del padiglione, a Galileo Chini viene affidata la realizzazione decorativa parietale delle sale interne. Purtroppo non abbiamo la possibilità di vagliare direttamente, attraverso una qualsiasi riproduzione, il lavoro del Nostro, mentre gli interventi di Chini sono stati pubblicati sia su “Emporium” che sul testo di Marescotti e Ximenes. Su quest’ultimo testo, nell’articolo dedicato alla cronaca del nuovo padiglione, compare tuttavia una fotografia – rigorosamente in bianco e nero – che riproduce parte dell’esterno dell’edificio in questione, ma la distanza è tale da non consentire al lettore di ricavarne indicazioni stilistiche. Cercheremo di ricavare utili orientamenti dalle dichiarazioni dell’attento e vigilante Pica: “Mentre ferveva la rude ed aspra fatica degli operai intorno alle gallerie ed alle sale due nostri artisti collaboravano arditamente a rendere più bella e geniale la mostra, malgrado la furia concitata con la quale i lavori procedettero. Sui due piloni che chiudono il corpo centrale della facciata il pittore Dudovich dipinse con felice sommarietà di tocco alcune movimentate teorie di figure simboliche di lavoratori e di artieri e di figure femminili simboleggianti le arti applicate, intonate meravigliosamente colla leggerezza e la grazia policroma dell’edificio”. “© 2017 archivio MD”

Pica ci dice ancora di Marcello Dudovich: “……… tentando per la prima volta ed in tempo limitatissimo una vasta decorazione per edificio pubblico, ha riconfermato in modo vittorioso tutte le pregevoli doti, che, già da parecchi anni, i buongustai vanno ammirando nella gaia, elegante e feconda sua produzione cartellonistica. Le due schiere di artigiani laboriosi e di donnine civettuole, che egli ha raffigurato nella parte bassa dei due grandi piloni dell’ingresso principale del padiglione dell’arte decorativa italiana, sono composti con armoniosa leggiadria modernista, con disegno sommario ma abbastanza fermo e sicuro e con una vivacità piacente di colori, che seducono di primo acchito lo sguardo, pure sorprendendo forse coloro, i quali, prigionieri tuttora dei pregiudizi accademici, non riescono a persuadersi che un artista possa chiedere l’ispirazione di una pittura decorativa alla vita che quotidianamente si agita a noi d’intorno piuttosto che all’usato ed abusato armamentario delle allegorie mitologiche”. Da entrambe le descrizioni emerge un dato stilistico che riguarda il modo di operare di Dudovich, ovvero la sua “felice sommarietà di tocco” detta anche “disegno sommario ma abbastanza fermo e sicuro”, un carattere che abbinato agli attributi di leggerezza, di grazia e di gaiezza, di eleganza, di armonia seduce “di primo acchito lo sguardo”. Come non ritrovare in queste parole una perfetta omologia con l’attività cartellonistica di Dudovich? Ed è anche possibile considerare, sulla base di una stretta analogia, l’evento espositivo come prossimo al manifesto, in quanto entrambi utilizzano l’“effetto meraviglia”; la tecnica del colpo di scena è infatti uno degli strumenti principali in queste due forme di “spettacolo” merceologico. Sono poi situazioni di fruizione nelle quali il pubblico è sicuramente più necessario che in altre forme comunicazione artistica e l’osservatore vi è introdotto quale struttura portante dell’operazione estetica. L’Esposizione Internazionale, come il manifesto, nasce e muore all’interno della stagione di cui si fa testimone, non rifiutando la sua condizione “effimera”, ma riuscendo comunque ad incidere sul gusto e ad educare le masse al prodotto artistico. “© 2017 archivio MD”

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