Considerando gli aspetti più significativi della grafica europea siamo arrivati alla soglia del 1900 e a questo punto, anche la cultura italiana è ricchissima di spunti, “che una buona diffusione delle riviste straniere – inglesi e tedesche soprattutto, ma anche francesi – provvede a nutrire via via di nuove linfe.” La seduzione insita nel Liberty troverà quindi modo di affermarsi pienamente nei settori dell’arte applicata e soprattutto nella grafica editoriale, dove un rapporto anticonvenzionale tra testo, decorazione e illustrazione riqualificherà la tradizionale pagina stampata. In tale rinnovamento sarà coinvolto anche il cartellone pubblicitario. Proprio attraverso l’ affiche si può tentare una storia del Liberty in Italia, poiché la manifestazione italiana dell’Art Nouveau raggiunse anche da noi, verso la fine del XIX secolo, attraverso questo mezzo di comunicazione “un momento di tensione creativa che rasentò lo stile”. L’approssimarsi di un clima stilistico unitario e vibrante, rigoroso e cifrato è infatti suggerito da queste apparizioni multicolori che sono i manifesti, capaci anche di rischiarare la tetra realtà urbana. Il cartellone pubblicitario – opera grafica applicata all’industria – fin dal suo esordio godrà del favore con cui venivano accolti tutti i prodotti della grafica modernista, definendosi dunque come fenomeno brillantissimo (il cartellone è spesso indicato come il terreno più fecondo della produttività Liberty). “© 2017 archivio MD”
Fu perciò la grafica pubblicitaria a costituire il campo di ricerche più fervido e brillante; con la libertà che le era consentita dal non essere, appunto, un’attività d’arte pura, ma di dover trovare le sue motivazioni e il suo significato nella specifica funzione di richiamo. Una sintesi stereotipata del mondo che ne racchiuda i ritmi, i tempi e i modi. Il messaggio pubblicitario si concentra in pochi tratti (segni folgoranti che si trasformano in sogni seducenti) per ottenere un coinvolgimento di quante più persone possibili e riuscirle a persuadere. Tra gli esempi più mirabili della grafica applicata alla pubblicità si ricordano le opere di William Bradley. Famoso già dagli anni Novanta per le illustrazioni solcate da curve nastriformi, con stereotipate donne dai capelli cotonati avvolte in volute di segni, in gonfie vesti ed intente in qualche occupazione che ne esaltino la mobilità, l’artista americano impone a quasi tutte le sue creazioni un carattere seriale, accompagnato da una incomparabile pulizia di disegno. Un modello unico di donna (una matrice) viene ripetuto sulla superficie della pagina (del cartellone o della rivista) con leggere o quasi nulle variazioni – quasi fosse uno stampino – dando vita ad una riproduzione seriale che impronta l’immagine alla stasi: il movimento è solo un’illusione di superficie poiché il disegno è privo di scatti dinamici e non suggerisce profondità. “© 2017 archivio MD”
Vedremo come Dudovich, fin dalle sue prime realizzazioni, resterà affascinato dalle possibilità di una formula seriale e ci giocherà dentro, ma dando vita ad una ripezione differente che in qualche modo renda meno monotono il risultato. Si vuole però in questa sede ricordare almeno le copertine di “Harper’s Bazar”, in cui gli illustratori americani diedero prova di alta capacità sintetica indicando nelle immagini scene e costumi caratterizzati da una linea di contorno assai espressiva (cruda senza sconfinare nella caricatura), per questa rivista furono ideati anche manifesti molto riusciti, ove il disegno determina vaste campiture scontornate su fondi chiari o bianchi e il testo risulta fortemente integrato all’immagine, in una mirabile sintesi comunicativa. Ricordiamo poi gli esempi grafici inglesi di Aubrey Beardsley e dei fratelli Beggarstaff (pseudonimo sotto il quale lavorarono per alcuni anni due giovani artisti, William Nicholson e John Pryde, che hanno in comune una versione estremamente sintetica dell’immagine, giocata sul filo di una linea intransigente); della scuola di Glasgow, con Mac Donald, Mac Nair e Mackintosh. “© 2017 archivio MD”
Torneremo a parlare dei fratelli Beggarstaff più avanti, attorno al 1900, quando nell’opera di Dudovich si leggerà con chiarezza la propensione ad una economia descrittiva mutuata dai grafici inglesi attraverso la lezione di Franz Laskoff, cartellonista di Casa Ricordi, che importò direttamente dall’Inghilterra l’insegnamento alla riduzione e alla semplificazione. I coetanei Beardsley e Nicholson rappresentano – ognuno con la sua particolare opera grafica – un’umanità in costume magra ed asciutta, vista per personaggi singoli o disposti in una lunga teoria di corpi affiancati, che precludono ogni profondità spaziale all’immagine. La Francia ospita uno dei più brillanti grafici dell’epoca Art Nouveau: Alphonse Mucha, artista che in questi anni comincia ad essere conosciuto fuori dai confini francesi. Le sue immagini sono sempre sottolineate da una sinuosa linea di contorno, l’iconografia dei soggetti e la resa stilistica presentano nella maggioranza dei casi i fiori in primo piano, ingigantiti, che si sovrappongano alle figure femminili che ne devono simboleggiare la grazia e la bellezza. Nella sua opera – in pittura e nella grafica – contrasto e colloquio tra figura e sfondo sono temi dominanti spinti fino agli intrecci più complessi e utilizzati nelle più sottili sfumature di contenuto. In Germania il manifesto veniva quasi esclusivamente utilizzato per pubblicizzare le mostre d’arte, i concerti, le riviste letterarie, e così mantenne senza sforzo la più rigorosa aderenza alle forme classiche dell’arte nazionale ispirata all’Ellenismo, ma fredda e austera. Dalla pittura di Stück e da questo comune sentire ripartiranno Klimt e gli artisti viennesi della Secessione. “© 2017 archivio MD”
Dopo questa necessaria panoramica sulla neonata arte del manifesto, che ci ha portati oltre i confini italiani ed europei, ritorniamo nel nostro Paese, pronti a comprenderne adesso ogni espressione significativa. I primi esempi di pubblicità con dichiarati intenti artistici l’hanno promossa due importanti stabilimenti cromolitografici: ‘Gaffuri e Gatti’ (poi Istituto d’Arti Grafiche) di Bergamo e la “Casa Ricordi” di Milano. “© 2017 archivio MD”