La collaborazione alla rivista “Italia ride” e i cartelloni entro il 1902

Con i primi cartelloni pubblicitari che Dudovich realizza a Bologna nel 1899 abbiamo inaugurato un percorso iconografico che seguiamo, un anno più tardi, svilupparsi anche tra le pagine del periodico “Italia ride”, da noi già considerato quale miglior esempio di grafica rinnovata in senso modernista, accanto all’azione promozionale dello stabilimento Chappuis. Alla rivista – che riunisce personalità provenienti da diverse esperienze regionali – collaborano infatti molti dei cartellonisti dell’epoca, ma anche artisti che si dedicano principalmente alla pittura e all’illustrazione. “Tra i primi cartellonisti che si dedicarono al manifesto con evidente entusiasmo, ci furono gli illustratori ed era naturale, ma riuscirono ad imporsi quelli che in esso non vedevano soltanto una grande tavola portata sul muro: una di quelle immagini colorate ingrandite che illustravano i giornali, gli albi e le dispense dei romanzi famosi che avevano trovato così il modo per entrare nelle case.” “Italia ride” diventò subito un potente organo di diffusione di nuove idee artistiche, ma soprattutto consentì a molti giovani intraprendenti di maturare grazie ai reciproci scambi, sulla base degli orientamenti europei più all’avanguardia. Vi collaborano: Augusto Majani, in arte Nasìca, direttore artistico, Alfredo Baruffi, Augusto Sézanne, Luigi Bompard, Ugo Valeri, Duilio Cambellotti, Galileo Chini, Franz Laskoff, Ardengo Soffici, Adolfo Magrini e molti altri… “Italia ride” ha un’emblematica – e sistematica – vita brevissima, di soli sei mesi. “© 2017 archivio MD”

E’ un foglio modesto, di tipo corrente, ma stampato con grande cura tipografica e fornito di un corredo di illustrazioni di prima qualità: vignette – per lo più satiriche, ma anche decorative – di gusto aggiornatissimo, ispirate a modelli francesi (“Le rire” e “Revue blanche”) e ai recenti modelli tedeschi (“Jugend” e “Simplicissimus”, “Ver Sacrum”). In qualcuna delle illustrazioni di Marcello Dudovich per “Italia ride”, si ravvisa l’ossequio a “Jugend” e a “Simplicissimus”, infatti egli “si riallaccia da un lato alla beffarda deformazione espressionistica di Heine – con un pò meno di mordente, si capisce -, dall’altro all’estetizzante contorno continuo di Witzel – meduse e liane, capelli che si fan giunco e rivo: acquatici capelli ormai svolgenti i loro nodi lontano dalle origini preraffaellite e mackintoshiane, per tentare un approdo più vistoso e meno mistico -.” Altrettanto palesata è la derivazione stilistica dai modelli di “Ver Sacrum”, nei quali è leggibile soprattutto la cifra disegnativa di Kolo Moser, fatta di puro segno grafico, in un alternarsi di bianco e nero: si guardi alle numerose “testine” dudoviciane che ornano le pagine di “Italia ride”! Nella copertina di “Italia ride” del 17 marzo, invece, Dudovich pare citare quasi alla lettera le coeve illustrazioni di “Harper’s Bazar” firmate da Penfield: un uomo elegantemente vestito alla moda, accessoriato di tutto punto (bombetta, bastone, sigaretta, pastrano e ghette) passeggia solitario. La rivista bolognese era inoltre in contatto con pubblicazioni estere, per esempio francesi (“Le Bon Vivant”) e tedesche (come la berlinese “Lustige Blätter”). Un altro fondamentale illustratore di “Italia ride” è Franz Laskoff; la sua figura si riallaccia a quella del ‘team’ dei cartellonisti di Casa Ricordi. Entrato proprio nel corso del 1900 allo stabilimento milanese, dopo aver a lungo viaggiato ed essersi formato sulla base delle maggiori riviste europee, Laskoff esordisce in Italia proprio come illustratore della rivista bolognese. “© 2017 archivio MD”

Questo abilissimo grafico russo non è venuto certo a Bologna ad imparare il “mestiere”, ma si dimostra propenso ad emulare le trovate più innovative, come per esempio la soluzione grafica adottata da Kienerk nelle sue illustrazioni “a macchia”. Laskoff si diverte a giocare sul rapporto diretto tra valore positivo e valore negativo, secondo la linea già riscontrata nell’area della Secessione viennese. Nei cartelloni dell’artista russo questo indirizzo si tradurrà in un rapporto diretto tra masse di colore litografico infatti, da consapevole interprete della lezione inglese dei fratelli Beggarstaff, impronta la sua opera ad una estrema sintesi, riducendo le forme a sagome essenziali racchiuse entro un tracciato sottile. Abbiamo visto in precedenza come l’illustrazione Liberty non si arresti alle imprese maggiori, ma invada quasi tutti i canali della grafica, pertanto ci sembra opportuno considerare una forma d’applicazione particolare, quale è quella della cartolina-menù, con l’opera di Dudovich per Fernet Branca sempre datata al 1900. Nelle sue migliori intenzioni stilistiche e ideali il Liberty si propone di garantire un’eleganza e una bellezza moderna a un pubblico che sia il più esteso e democratico possibile: ed è in questo contesto che anche la semplice cartolina postale conosce una notevole diffusione. Questa di Dudovich – lo abbiamo detto – è un tipo particolare di cartolina illustrata, è una cartolina-menù destinata alla fruizione “d’interno” e raccolta, quale è quella dei frequentatori dei pubblici ritrovi come ristoranti e caffè. La figura femminile – la futura moglie dell’artista, Elisa Bucchi – è la protagonista dei soggetti pubblicitari ideati da Dudovich in questi anni bolognesi. Attraverso le fotografie scattate personalmente dall’artista è stato possibile accertare questa coincidenza, testimoniata peraltro anche dalle parole dello stesso Dudovich: “Era una bella ragazza bruna e sottile e veniva da Faenza, si chiamava Elisa Bucchi. Nei miei disegni di donne ho ritratto sempre lei, la sua figura elegante, il suo naso leggermente aquilino, il portamento fiero della sua testa. Sempre lei [protagonista anche del decennio successivo] a Cannes, a Parigi, a Ostenda, a Deauville.”  Questa donna diviene il prototipo di tutta la schiera delle figure femminili che costelleranno l’opera del triestino; l’artista sceglie di riprodurre per tutta la vita un unico modello, adattandolo di volta in volta ai nuovi gusti pittorici, alle diverse esigenze della moda, ai cambiamenti epocali. “© 2017 archivio MD”

Ritroviamo Marcello Dudovich nella sezione italiana di arti decorative dell’Esposizione di Torino: presenta il suo manifesto comunemente noto come Fisso l’idea proprio sotto la sigla societaria della “Æmilia Ars” di Rubbiani. Dudovich in questi anni – lo abbiamo a più riprese sottolineato – seguirà in linea di massima gli orientamenti del giovane gruppo bolognese, spaziando tra ricerche linguistiche più avanzate e codici stilistici più tradizionali. Infatti nelle opere “di questo gruppo di artisti emiliani, si cerca, con sagace ingegnosità, di mettere d’accordo il nuovo col vecchio, applicando, per così dire, ritmi antichi a motivi decorativi non ancora usati. È Così che “gli affissi illustrati di abile e concettosa comparizione e di colorazione piacevolmente vivace di Marcello Dudovich, un giovane pittore istriano, che, già da parecchi anni, studia e lavora a Bologna e che con essi ha saputo rendersi degno di essere posto fra i cartellonisti italiani subito dopo il Mataloni e l’Hohenstein, e gli ex-libris d’Afredo Baruffi“ vengono di diritto menzionati tra le migliori prove dell’intera esposizione di Torino. “© 2017 archivio MD”

Al solito, la grafica è il campo in cui è meno evidente il peso della tradizione e più largo lo spazio dedicato alla sperimentazione: le proposte estetiche più audaci e moderniste si rintracciano nel settimanale illustrato di letteratura, critica e varietà “Fantasio” (rivista edita a Roma dal marzo al luglio 1902). Tale pubblicazione, che ricalca l’esperienza di “Italia ride” e sarà capace – seppur con minor mordente – di condizionare le pubblicazioni successive, accoglie gli interventi delle “migliori penne d’Italia” che sono in larga parte il gruppo di grafici bolognesi cioè Bompard, Dudovich, Majani, Casanova, Romagnoli, Jeanneart, poi Cambellotti e altri. Nonostante la dignità degli interventi artistici l’esperienza naufragherà al sedicesimo numero. La rivista, poco caratterizzata per quanto riguarda i testi, è molto interessante per la parte illustrativa. Se dapprima, in accordo con le più innovative tendenze del Liberty europeo, il dato naturalistico si è trasformato in pura essenza, scarnificandosi fino all’estremo, ora quella stessa volontà astrattiva invade l’intera composizione, che risulta ai nostri occhi magistralmente condensata, focalizzata sull’oggetto da reclamizzare. Nell’opera di Dudovich, ormai indirizzata verso esiti più maturi, un sintetismo generalizzato prende il posto degli eccessi sensibilistici ancora presenti l’anno precedente, anche se l’artista resta fedele ad una traduzione stilistica preziosa, data da scioltezza di forme e agilità grafiche. In questo periodo Marcello Dudovich riprende il dialogo con l’illustrazione di rivista interrotto dopo il fallimento di “Italia ride” e i suoi contributi grafici vanno ad arricchire dal 1904 l’albo annuale d’arti e lettere “Novissima”, diretto da Edoardo De Fonseca, pubblicazione considerata nei fatti il “manifesto della grafica moderna”. La rivista nata a Milano nel 1901, poi trasferita a Roma dal 1903, viene pubblicata per dieci anni, fino al 1910, cui sono da aggiungere anche dodici fascicoli apparsi a Roma nel 1913. “Novissima” ebbe un ruolo promozionale nei riguardi dello stile Liberty e dei giovani illustratori, tra le cui fila si annoverano – oltre a Dudovich – Baruffi, Bompard, Majani, Terzi, Kienerk, Valeri e ancora Chini, De Carolis, Cambellotti, Martini, Magrini, ma anche Nonni e Casorati assieme ai già affermati Nomellini, Innocenti, Balla, Bistolfi, Previati, Sartorio e Mataloni.  “© 2017 archivio MD”

L’importanza della rivista è infatti notevole sul piano visivo perché testimonia delle nostre inclinazioni figurative e decorative, che vanno verso una maggiore maturità modernista. La veste tipografica di questo annuario è elegante anche se non originale poiché ispirata a “Ver Sacrum”, dal quale prende spunto per il formato geometrico – qui rettangolare e non quadrato – della rivista. Per quanto concerne gli indirizzi stilistici vi sono delle linee guida rintracciabili in un nuovo gusto neobizantino d’importazione austro-tedesca, tradotto in formule corpulente, simboliche per contenuto e che si accompagnano ad una stesura classico-naturalistica derivante dall’opera di Stück (Dudovich, Kienerk e Bompard); vi è una linea grafica più leggera e vibrante, ispirata con evidenza ai secessionisti, ma senza aver perso i contatti con le formule francesi della “Revue blanche” e di “Tendences nouvelles” (Terzi, Brunelli, Costantini); vi è il perdurare della tradizione florealizzata italiana, agganciata alla grafica inglese di Crane e di Bell e a quella franco-svizzera di Grasset (Baruffi); emerge sempre più, infine, la progressiva e sistematica riconquista della tradizione italiana, passata dal preraffaellismo al neo-cinquecentismo, gradito ai nazionalisti (De Carolis). “© 2017 archivio MD”

Prima di concludere il felice periodo bolognese dell’artista, trascriviamo per intero una significativa testimonianza di Dino Villani sull’opera del triestino:

“Anche se Dudovich ha esercitato la sua attività di illustratore con entusiasmo e con evidente piacere su giornali e su riviste, disegnando copertine ed illustrando racconti e novelle, egli resta particolarmente un ottimo cartellonista. Un cartellonista che non ha compiuto o dato il via a rivoluzioni, ma è tuttavia riuscito a dare un’impronta personale alle sue creazioni, dove la semplificazione non va mai a scapito della ricchezza pittorica e la pittura non diminuisce mai la visibilità del soggetto. Possiamo, in un certo senso, trovare Dudovich sulla stessa linea di Toulouse-Lautrec, poiché entrambi non hanno mai voluto rinunciare ad essere pittori pur servendo le esigenze della pubblicità. Molti hanno creduto che il triestino fosse un “pittore facile” ma così non era. Anche se egli – e lo confessava con civetteria – cercava di lavorare il meno possibile per potersi distrarre e divertire, poneva grande cura alla creazione di ogni suo cartellone. Dopo aver tracciato un piccolo e rapido schizzo disegnato, sul quale poneva qualche macchia di colore per trovare il tono, stabilire la luce e quindi valutare l’effetto, si accingeva allo studio della figura, o delle figure, davanti al vero. Decine e decine di disegni egli eseguiva fino a quando non riusciva ad ottenere forma, espressione e movimento spontanei, naturali. Non ci arrivava sempre dopo i primi tentativi; anzi, era spesso costretto ad interrompere, per riprendere quando si fosse sentito in “stato di grazia”, ed allora, come diceva lui, “entrava in trance” e riusciva anche improvvisamente ad ottenere il risultato desiderato”.

Ma la terra romagnola è importante nell’economia complessiva della formazione di Dudovich e dei suoi spostamenti perché gli diede la possibilità di entrare in contatto con ambienti all’avanguardia, vivacissimi sotto il profilo culturale. Ci riferiamo a Faenza e al gruppo di artisti che costituirono il cenacolo di Domenico Baccarini: l’artista divenne in breve tempo il capogruppo di una brigata d’artisti coetanei – tra le cui fila si riconoscono Rambelli, Sella, Nonni, Drei, Guerrini, Ugonia e altri – che amava discutere non solo di arti figurative, ma anche di cultura contemporanea europea (letteratura, poesia, musica). Dudovich era in contatto con queste personalità, non fosse altro che per ragioni di ‘cuore’, visto che la sua fidanzata e futura moglie Elisa Bucchi era proprio nativa di Faenza, e la sua presenza è documentata di frequente nelle carte di corrispondenza degli artisti faentini: “non stupisce quindi vedere un bel ritratto femminile ad olio di Dudovich, dono dell’artista all’amico faentino, nella quadreria che fu personale di Sella. Altre opere di Dudovich si trovano ancora oggi in case private di Faenza ed una è esposta alla Pinacoteca Comunale.” “© 2017 archivio MD”

 

error: Content is protected !!