I cartelloni pubblicitari dal 1906 al 1911

La cartellonistica della seconda metà del primo decennio del Novecento, che si esprime in massima parte ancora mediante la cromolitografia, oppure attraverso la fotolitografia o la fotoincisione (tecniche che prevedono comunque una matrice originale disegnata dall’artista), approderà ad immagini lineari più nette, semplici e vigorose definite attraverso pochi distesi colori. Marcello Dudovich ci darà dal 1906 in avanti composizioni meglio organizzate sotto il profilo del rigore formale, progressivamente spogliate dalle ornamentazioni floreali più tipiche del Liberty e concentrate attorno alla figura protagonista, quasi sempre femminile. La maggiore sintesi nei cartelloni pubblicitari di Dudovich si esplica anche grazie alle scelte tematiche e alla sintassi figurativa semplificata. “© 2017 archivio MD”

Facciamo un piccolo passo indietro e torniamo al 1906, anno decisivo per Dudovich, impegnato su più fronti. Oltre che occuparsi di illustrazione e manifesti pubblicitari egli dipinge le pareti esterne del Padiglione di Arte Decorativa all’Esposizione di Milano. Ma, fatto indubbiamente più significativo dal nostro punto di vista, Marcello Dudovich – che ormai ha preso dimora a Milano – inizia nel 1906, assieme agli altri cartellonisti che collaborano con le Officine Grafiche Ricordi, a lavorare per le campagne pubblicitarie promosse da un’importante ditta, i Grandi Magazzini Italiani di Emiddio e Alfonso Mele, con sede a Napoli. I Magazzini “Mele” aprirono al pubblico napoletano nel 1889. un progetto pubblicitario articolato. Esso fu pensato con un’ampiezza di sviluppi senza confronti per quei tempi. Tale progetto investiva molteplici settori, soprattutto del campo editoriale, con la produzione di annunci sulle maggiori testate del tempo, di cartoline, di calendari, di locandine, di cataloghi ed ovviamente di manifesti. Tale spessore culturale si apprezzerà anche a livello stilistico, quando ci occuperemo di analizzare i cartelloni pubblicitari compresi in un arco di tempo tra il 1906 e il 1914: un programma e dei risultati molto alti, che solo la produzione di manifesti per la Rinascente degli anni tra le due guerre riuscirà ad eguagliare. “La committenza Mele, intervenuta quasi in via sperimentale a mettere a punto la nuova politica culturale Ricordi e le concrete capacità del potenziale tecnico della ditta, documenta il periodo formativo della grafica pubblicitaria come nessun’altra committenza; ciò, sia in virtù del fatto che si svolse senza interruzioni per un arco di tempo di circa venticinque anni, a differenza di altre committenze più brevi ed episodiche. Infatti la Ricordi sostenne, coi suoi cartellonisti, alcune campagne pubblicitarie dei Magazzini Mele fin dal 1889, ma senza averne l’esclusiva in quanto anche altri stabilimenti – non tutti all’avanguardia – parteciparono all’iniziativa. “© 2017 archivio MD”

Prima del 1906 la ditta napoletana si era rivolta a molti laboratori grafici e a più artisti di diversa estrazione ottenendo risultati non sempre dignitosi. La committenza industriale, al pari di quella culturale, per porre in opera il programma pubblicitario deve passare attraverso lo stabilimento grafico (incarnato nella persona del suo direttore, che pare assumere il ruolo di vero e proprio mecenate). È così che Emiddio e Alfonso Mele rivolgendosi a Giulio Ricordi ottennero brillanti risultati in campo pubblicitario. “Mele” e “Ricordi” sono certamente due realtà industriali italiane all’avanguardia, con una capacità gestionale avanzata e impegnate a sostenere programmi di mercato molto articolati. Gli artisti finora emersi come firmatari di manifesti Ricordi per Mele sono tredici: A. Beltrame, P. L. Caldanzano, L. Cappiello, S. De Stefano, M. Dudovich, F. Laskoff, G. E. Malerba, A. L. Mauzan, A. Mazza, L. Metlicovitz, E. Sacchetti, A. Terzi, A. Villa. Scorrendo la produzione cartellonistica Mele in ordine cronologico, si osserva che alcune importanti modifiche del manifesto muovono proprio a partire dal 1906: esse sono in relazione soprattutto a Marcello Dudovich che inizia da quell’anno un’intensa attività di produzione per la ditta di Napoli. Dudovich elaborerà assieme ad altri cartellonisti, pittori e illustratori le istruzioni ricevute dalla ditta, affinché la trasmissione del messaggio pubblicitario sia il più possibile coerente ed efficace. I manifesti Mele vengono realizzati da diverse mani e con diverse interpretazioni stilistiche, ma nell’unica cifra imposta dalla committenza, tesa cioè ad enfatizzare i capi d’abbigliamento e l’atmosfera che questi riescono a creare attorno. La ditta Mele cerca un proprio specifico segno d’identità da affidare alla collettività, propone uno stile di vita aristocratico, quasi irraggiungibile e già velato di tinte nostalgiche per una belle époque in declino. I prodotti, potenzialmente interclassisti, sebbene si prospettino come alla portata di qualunque tasca – “massimo buon mercato” è infatti lo slogan che accompagna la quasi totalità dei cartelloni pubblicitari “Mele” – sono però destinati alla media borghesia. Già dal 1906 Dudovich estende i suoi impegni di illustratore a più testate. In particolare, forse anche grazie all’esperienza con la ditta Mele, il Nostro si trova a collaborare con riviste che si occupano, tra l’altro, anche di moda.
Tuttavia se crediamo interamente alla testimonianza del triestino dovremmo attribuire ad Elisa Bucchi il ruolo di mediatore tra Dudovich e la moda, infatti egli ci dice: “fu per l’insistenza di mia moglie che da cartellonista divenni disegnatore di moda, per illustrare i suoi articoli.” Così iniziò a curare la rubrica di moda e mondanità della rivista di Ricordi, la famosa “Ars et Labor”, esperienza che si concluderà nel 1911. “Ars et Labor” è un raffinato mensile nato nel 1902 con il nome “Musica e Musicisti”, voluto e diretto da Giulio Ricordi e pubblicato dall’omonima Casa. La rivista è per un pubblico specializzato e si occupa di musica, di teatro, di danza, ma include anche notizie e splendidi servizi fotografici sulle esposizioni artistiche, sulla storia del costume e sulla geografia del territorio nazionale. “© 2017 archivio MD”

Senza avere il timore di spingerci troppo avanti nella cronologia delle opere di Dudovich consideriamo la copertina di “Ars et Labor” del marzo 1910 tematicamente affine ad un cartellone per la ditta di abbigliamento napoletana Mele. In entrambe le opere inoltre viene raffigurata la futura moglie Elisa, a riprova di un legame sia intimo che professionale. Sia nella copertina della rivista edita da Ricordi che nel manifesto Mele – novità estive Dudovich raffigura un’elegante figura femminile a passeggio, posta sulla diagonale della composizione, quasi a sottolinearne l’insito dinamismo, e il cui incedere viene piacevolmente disturbato da un refolo, secondo un’iconografia presente in molte illustrazioni Liberty europee precedenti a questa. La donna indossa un vestito, con cintura in vita e compreso di mantellina, ombrello e ampio cappello, lungo fino ai piedi. “Ars et Labor”, rivista per musica e musicisti, appartiene di fatto a quel settore dell’attività dello stabilimento Ricordi, mantenuto più che vivo fin dagli esordi della Casa editrice milanese, dedito alla stampa degli spartiti musicali. Sono datate al 1907 una serie di copertine di Dudovich per tali specifiche edizioni. In queste tavole cromolitografiche si esprime un Dudovich intimista, abile a rappresentare le atmosfere leggere e licenziose delle romanze o delle musiche da camera. Un tono medio-borghese, languido e ironico, sommesso e piccante – in questi anni sono appunto particolarmente amate le romanze, le canzoncine e i valzers – è presente nelle copertine di “Ars et Labor”, splendido repertorio di formule Liberty, poiché già dalla fine dell’Ottocento “il diffondersi contemporaneo di altre forme e generi di grafica applicata, dal manifesto alla copertina illustrata, dalla pubblicità alla cartolina postale, suggerirono e favorirono l’introduzione dell’immagine nelle edizioni della musica.” La copertina dello spartito si può in effetti considerare una pagina simile a quella più grande del manifesto, nella quale coesistono immagine e testo, la differenzia risiede semmai nella fruizione, ravvicinata la prima e più distanziata la seconda. Confrontando diverse immagini dei cartellonisti della Ricordi – in particolare quelle inerenti i manifesti per la ditta “Mele” – possiamo chiarire sia i rapporti di interdipendenza fra Dudovich e Metlicovitz, sia rilevare l’influenza del Nostro su altri artisti, per esempio Luigi Caldanzano ed Emilio Malerba. Tuttavia noi seguiremo più da vicino l’evoluzione stilistica di altri compagni di strada di Dudovich, come ad esempio quelle di Terzi, di Sacchetti e di Brunelleschi. “© 2017 archivio MD”

Il volto umano diventa per gli artisti espressionisti il campo d’indagine prediletto per scandagliare le profondità dell’anima umana. Il viso, come forma dinamica capace di repentine metamorfosi perché sollecitato da continue passioni, diviene uno schermo nel quale trascorrono i moti interiori. Ma altre più sfumate o più complesse passioni si percepiscono sui volti dei personaggi protagonisti – a volte trasformati in vere e proprie maschere – delle opere degli artisti nati attorno al 1880. Già nelle prove di due proto-espressionisti come Ensor e Munch si erano potute leggere delle anticipazioni di quanto poi esploso nell’arte dei tedeschi di “Die Brücke” o, per restare in Italia, in quella di Viani, di Bonzagni, di Boccioni. Nel cartellone pubblicitario di Marcello Dudovich del 1907 per le Corse di Brescia l’artista non raggiunge gli estremi di una figurazione selvaggia che sono proprie delle opere coeve di Vlaminck, di Kees van Dongen o di Kirchner, ma certo intuisce il bisogno di esprimere i valori psichici, di urlare le pulsioni sotterranee dell’essere umano. Così i ritratti di donne dagli occhi scavati, segnati o cerchiati di blu o di nero, e i volti solcati dal male di vivere contemporaneo, ormai trasformati in maschere dal trucco pesante, si concretizzeranno pienamente attorno al 1911 nell’opera di Dudovich come in quella di Viani e di Bonzagni. Ogni artista si esprimerà secondo la sua sensibilità, in modo più o meno intenso, drammatico e corrosivo. In questo Viani e Bonzagni sono sulla stessa linea di Dudovich, ma sembrano più cruenti, più coraggiosi e quindi più primitivi. Lorenzo Viani si dimostrerà impietoso nel rappresentare le miserie del genere umano, spesso potenziando la sua interpretazione col bianco e nero, con mosse scheggiate, da xilografia. Aroldo Bonzagni in chiave aspra e risentita, al limite con la caricatura, dipinge una società malata, infierendo in modo particolare sui rappresentanti dell’aristocrazia e della borghesia. L’ambiente mondano è il serbatoio di tipi e di situazioni da cui attinge anche Marcello Dudovich, è la dimensione che fa da sfondo al suo mondo iconografico, espresso con segno dinamico e grintoso, ma in cui la traccia lasciata dalla sua matita o dalla sua penna non sia così indelebile come invece è nei due artisti succitati. Il Nostro si adopererà per raggiungere un possibile ma delicato equilibrio tra volto e maschera. I Futuristi invece, impostando un discorso estetico capace di sollecitare tutta la nostra rete sensoriale, considerarono la luce, energia allo stato puro ed elemento elettromagnetico insieme, come valore fondamentale per l’espressione pittorica perché capace di tradurre, almeno in parte ed entro i limiti imposti dalla superficie piana, fenomeni vitali di ordine fisico-percettivo, noetico e psicologico, legati quindi agli stati d’animo. “© 2017 archivio MD”

Considerati gli aspetti più significativi dell’illustrazione nazionale tra il 1906 e il 1908, non possiamo dimenticare di citare altre importanti manifestazioni editoriali, infatti “l’evento più significativo” del 1906, accanto alla nascita della quadrilingue Rivista Universale di Automobilismo “Rapiditas”, fondata da Vincenzo Florio a Palermo e sontuosamente edita a Roma da “Novissima”, con la collaborazione di Dudovich, Terzi, Cambellotti e Bompard, è certamente la creazione a Firenze del primo periodico moderno per l’infanzia “Il giornalino della Domenica ”di Vamba.” Tra i collaboratori fissi de “Il Giornalino della Domenica” si annoverano inoltre Scarpelli, Finozzi e Brunelleschi, ai quali si alterneranno Biasi, Terzi, Rubino, Sto, Anichini, Andreini e tanti altri, con gli interventi eccezionali di Grassi, di Dudovich, di Sartorio, di Nomellini e di Lorenzo Viani. Dimostriamo così quanto facile sia imbattersi nel nome di Dudovich considerando la storia delle migliori pubblicazioni nate nei primi due decenni del Novecento. Inoltre si evidenzia la stretta corrispondenza che vi è tra i canoni illustrativi utilizzati dagli artisti nelle riviste e quelli stilistico-compositivi validi nei manifesti pubblicitari. Non è neppure raro che una tavola concepita per la copertina di una rivista venga riadattata al formato cartellonistico e stampata magari da altri artisti che si sono agevolati del suggerimento precedente. “Il segno sicurissimo di Dudovich interpreta da par suo la dinamicità e le malinconie, gli slanci e i segreti della donna moderna, ne sintetizza impareggiabilmente le mode degli abiti e delle acconciature.” Questo processo si segue bene sfogliando le riviste “Ars et Labor”, “La Lettura” e “Rapiditas”, come vedremo più avanti rifacendoci ai cartelloni del Nostro Dudovich fa registrare la sua presenza anche in “Varietas” edita a partire dal 1904, ne “La Lettura” – gli interventi del Nostro si concretizzano tra il 1906 e il 1915, collaborazione che riprende poi saltuariamente dal 1920 – e ne “Il Secolo XX” con contributi dal 1907 al 1933. Possiamo agevolmente porre a confronto una copertina di Metlicovitz per “La Lettura” del febbraio 1906 e un cartellone pubblicitario di Dudovich per l’Esposizione del Bianco e nero alla Famiglia Artistica del 1908 perché affini sia a livello stilistico che a livello tematico. L’illustrazione e il manifesto sfruttano l’occasione della “festa in maschera”: Metlicovitz rappresenta una coppia di donne (di cui una sembra l’ombra riflessa dell’altra), mentre Dudovich disegna un uomo e una donna ad un ballo, circondati da altri personaggi. Tale tematica era già stata svolta nel 1898 da un altro cartellonista di Casa Ricordi, Franz Laskoff, in una copertina per “Jugend”. “© 2017 archivio MD”

Dobbiamo effettivamente aspettare molto poco tempo, un anno appena – il 1908 – per cominciare a scorgere nelle prime prove pittoriche di Boccioni, appena giunto a Milano, la presenza di una luce bianca che inonda e quasi “brucia”, nel senso fotografico di una sovra-esposizione, sia le figure che gli oggetti rappresentati, conferendo alla scena quasi un senso di allarme, come fossimo in presenza di un’esplosione innaturale. È in direzione del dinamismo che vanno lette anche le scelte compositive di questi artisti visivi che sanciranno definitivamente la pluralità dei punti di vista e la percezione estesa nel tempo e nello spazio. Ma, contemporaneamente, nel resto d’Europa si completano altri processi e sia il 1907 che il 1908 si rivelano date per molti versi fatali. Reca la data del 1907 il “quadro-laboratorio” di Pablo Picasso Les demoiselles d’Avignon nel quale si succedono varie fasi stilistiche che approdano, nell’ultimo stadio rappresentato dalla fanciulla seduta a destra nel dipinto, ad una rottura con le ricerche figurative precedenti. A questa testimonianza si fa risalire la nascita del Cubismo. Picasso abbandona qui ogni residua sottomissione al sistema della natura e giunge ad elaborare un sistema autonomo, dato “a priori”. Attraverso queste brevi osservazioni – non possiamo infatti in questa sede concedere maggiore spazio alla poetica cubista – è già possibile comprendere quale sia la distanza che separa la ricerca figurativa cubista di Picasso, di Braque e degli altri compagni da quella invece portata avanti da Dudovich e dagli altri cartellonisti, compatti nei risultati almeno fino a tutto il secondo decennio del Novecento. I compagni di strada di Dudovich non cercheranno, a differenza dei cubisti, di “rifondare” il mondo esterno, di ricostruirlo per via deduttiva appoggiandosi in questo a schemi formali autonomi e geometrici, senza l’ausilio della natura, ma procederanno secondo un principio di astrazione. Seguendo il percorso artistico di Dudovich, che dopo il periodo simbolista-Liberty approderà al Déco-“Novecento” passando attraverso l’Espressionismo, potremo renderci conto di quanto egli resti fedele all’organicismo delle forme naturali e alla figuratività. Dudovich procederà sulla stessa strada indicata da Gauguin e da Matisse, quindi secondo un procedimento induttivo che parte dal fenomeno e, per via astrattiva secondo riduzioni progressive, approda al tipo, all’icona. Anche durante il periodo artistico più violento, quello espressionista, Dudovich si sforzerà di conservare in grado minimo la “buona forma”, senza brutalizzare troppo i suoi soggetti e mantenendo valido il principio decorativo su cui si basa in massima parte la sua ricerca. Questa condizione sarà la forza e insieme il limite della sua ricerca figurativa.  “© 2017 archivio MD”

Nei manifesti “Mele” inoltre si legge bene il ruolo di una pubblicità creatrice di suggestioni e di modelli di riferimento (detta infatti un codice di convenzioni e di comportamento). Per otto anni, dal 1906 fino al 1914 Marcello Dudovich collaborerà a questo progetto. Ed è così che si leggono i molti cartelloni creati da Dudovich e da altri per i fratelli Mele. La ditta di confezioni “E. e A. Mele & C.” è infatti particolarmente legata a quella mitologia borghese – viva negli anni precedenti alla prima guerra mondiale – nemica degli eccessi e delle trasgressioni, che ama gli sguardi allusivi, i gesti rituali e le parole sussurrate. L’abito alla moda – solitamente considerato nella sua sostanza effimera perché segue i mutamenti del gusto, caricandosi di funzioni accessorie, decorative e edonistiche – è qui l’oggetto della pubblicità dei magazzini e riveste pertanto un ruolo di primo attore. I personaggi – si capisce – non sono i veri protagonisti dei manifesti, tanto che essi sono figure svuotate e senza corpo, semplicemente siglate dall’apparato sartoriale che indossano. Marcello Dudovich ci offre, nei cartelloni pubblicitari per la ditta “Mele” tranches de vie sempre conformi ai rituali aristocratici e in cui i soggetti siano socialmente identificabili. Dudovich ritrae compiaciuto sui cartelloni tali protagonisti e “con una stringatezza che non è solo di “linea” ma pure di racconto riesce a riassumere una scena, un carattere, una situazione, senza eccessi né stilistici né narrativi.” Come è per il disegno del manifesto, nel quale la raffinata “silhouette” dell’abito guadagna una sua indipendenza stilistica, così è nel disegno del figurino di moda nel primo decennio del Novecento. Paul Poiret, famoso sarto francese, fu uno dei maggiori artefici della liberazione dell’abito dai condizionamenti “strutturali” imposti dal busto femminile. Nel 1904 Poiret dà infatti alla donna la possibilità di superare le restrizioni fisiche e di movimento imposte dalla moda di fine Ottocento (che voleva donne con la vita di vespa, abiti che enfatizzassero il seno e il fondoschiena), sebbene comunque quasi “tutti i protagonisti della nuova cultura si trovano d’accordo nel proporre una specie di crociata per liberare il corpo della donna dalle mille costrizioni alle quali veniva sottoposto dalle invenzioni dei sarti e dei bustai.” Muta la moda, ma questa non rinuncia a proporre un modello di grazia mondana e civettuola, un tipo di donna seducente – incarnati nelle immagini contemporanee nel tipo della ‘cocotte’, della ‘sartina’ e della ‘sciantosa’ – già validi a fine secolo. Saranno proprio i cartellonisti (assieme alla schiera degli illustratori e dei caricaturisti della generazione di Dudovich) gli artèfici della nuova cultura d’immagine. Sarà soprattutto il filone mondano – sotto forma caricaturale – ad avvicinare artisti come Bonzagni, Sacchetti, Valeri, Golia, Sto, Mazza e Tirelli.
A favore del disegno umoristico e caricaturale si esprimerà ancora Marcello Dudovich negli anni Quaranta, nei diari personali si legge infatti:

“ È importante che l’uomo sogni, ma è altrettanto importante che possa beffarsi dei propri sogni. L’umorista è sempre nello stato di un uomo incaricato di portare gentilmente una brutta nuova a un malato moribondo. La verità è crudele, se non ci fosse il burlone a ricordarci la crudeltà della vita! La saggezza, che è il più alto grado del pensiero consiste nel moderare i propri sogni o il proprio idealismo col buon senso dell’umorismo a sua volta materiato di realtà. Dopo tutto, soltanto un filosofo allegro è profondo filosofo. L’unica funzione della filosofia è quella di insegnarci a prendere la vita più leggermente e allegramente di un comune uomo d’affari.”  “© 2017 archivio MD”

Per quanto riguarda l’ambiente milanese nel quale Dudovich si muove, un’importante testimonianza di Villani cita:

Diceva Umberto Boccioni a Marcello Dudovich che forse hanno maggiormente contribuito alla comprensione dell’arte moderna i cartellonisti con i loro manifesti, che i “dettati” e le mostre dei gruppi d’avanguardia.

Villani si riferisce probabilmente ad una delle numerose occasioni in cui i due vennero in contatto, nei pubblici ritrovi milanesi, al Savini o all’Orologio. Artisti più vicini alla massa, i cartellonisti sono più prossimi ad un’arte dinamico-simultanea, che intervenga realmente e in modo tangibile, un’arte che sia in grado di propagandare se stessa nella vita metropolitana. I manifesti pubblicitari sono inoltre un sicuro e forte mezzo di sensibilizzazione ed educazione del pubblico; essi hanno invaso le strade e la pubblicità è divenuta un potere irrinunciabile, da sfruttare in tutta la sua forza amplificatoria. Il tono rumorosamente pubblicitario delle iniziative futuriste, specie di quelle abbinate a Marinetti e alla rivista “Poesia”, non poteva riuscire gradito a tutti. Per tutto il primo decennio e fino allo scoppio della prima guerra mondiale, sulla scena milanese accanto ad autori più giovani, nati intorno al 1880 ed emergenti a partire dal 1905 circa (per esempio gli artisti del gruppo futurista), continuano a produrre pittori molto più anziani che portano avanti, in pittura, istanze figurative maturate nel secolo scorso. Sono per la maggior parte artisti di forte temperamento, ma di fatto testimoni di una situazione precedentemente affermatasi.

I vecchi maestri convivono quindi coi giovani rivoluzionari. Ritroviamo questi personaggi in una testimonianza tratta da un diario di Marcello Dudovich:

”…I begli ingegni dell’epoca si incontravano al “Savini” e all’“Orologio”: Boito, i Pozza, Cotronei, Simoni, Rovetta, Butti e i pittori Carcano, Alciati, Agazzi. Ero intimo di Boccioni, di Sacchetti, di Andreotti, di Sem Benelli che a quel tempo scriveva “La Cena delle Beffe”.

Frequentando i pubblici ritrovi Dudovich entra dunque in diretto contatto con le personalità che animano la vita metropolitana. Camillo Boito è un rispettato personaggio della cultura milanese e, sebbene anziano, la sua influenza sui fatti artistici contemporanei è ancora molta, come si è potuto vedere al tempo della Esposizione di Milano del 1906. I fratelli Pozza, Francesco e Giovanni, sono invece due famosi caricaturisti che si occupano di satira politica illustrando le pagine del “Guerin Meschino”. Sono frequentatori fissi del Caffè Biffi. Sarà effettivamente la nuova generazione di caricaturisti – composta da Enrico Sacchetti, da Aldo Mazza, e dai più giovani Giovanni Manca, Golia e Sto, che conosceremo più avanti – ad imparare dalla precedente, dando avvio, partendo dall’illustrazione, ad una linea iconica estremamente semplificata. Dudovich considera Sacchetti e Andreotti “amici intimi” (legati tra loro da un rapporto di stretta amicizia fin dai tempi di Firenze) e questo viene confermato dalla sua biografia, visto che dopo averli frequentati durante gli anni trascorsi a Bologna, li ritroverà a Parigi nel 1911. “© 2017 archivio MD”

All’appello mancano ancora Simoni, Rovetta, Butti e Benelli, tutti personaggi legati al mondo del teatro che Dudovich frequentava con estremo piacere. In particolare Sem Benelli fu anche co-direttore assieme a F. T. Marinetti e U. Ponti dell’appena nata rivista di rassegna internazionale futurista “Poesia”. Milano è tutto questo, ma è anche molto altro: è infatti una metropoli in via di espansione ed è crocevia di molte esperienze artistiche, non solo pittoriche. Marcello Dudovich, che nel 1910 ha trentadue anni, ha sicuramente vissuto e in larga parte condiviso l’ansia di rinnovamento che coinvolgeva ogni settore della cultura o, più globalmente, della vita quotidiana. Dudovich ha sicuramente provato simpatia per i Futuristi, artisti rivoluzionari, ma, per lui, cartellonista che non amò mai nessun tipo di eccesso e che rimase sempre molto controllato nelle sue scelte, dovettero sembrare troppo irruenti ed estremisti. E questa sopra descritta è proprio la società milanese del primo Novecento, quella stessa che viene immortalata nei cartelloni pubblicitari di Dudovich e dei suoi colleghi. Siamo quindi arrivati alla data fatidica del 1911. Questo sarà un anno estremamente importante nella vita di Marcello Dudovich, sia sul piano professionale che su quello privato. Nel 1911 il Nostro ottiene la piena consacrazione dal mondo del cartellonismo pubblicitario mediante quella che diverrà poi, negli anni, la realizzazione probabilmente più conosciuta dell’artista: il manifesto per la ditta G. B. Borsalino. Nello stesso anno a Dudovich, conosciuto e stimato anche fuori dai confini nazionali, viene offerta da Albert Langen la possibilità di collaborare con la rivista “Simplicissimus”; un’occasione che il Nostro, entusiasta, coglie al volo – lo vedremo tra breve – trasferendosi a Monaco di Baviera e iniziando la sua attività di reporter, come inviato speciale del famoso giornale politico-letterario. Ne illustrerà la pagina mondana.
Come dicevamo innanzi, il manifesto “Marca Zenit” per la fabbrica G. B. Borsalino (fu Lazzaro & C. di Alessandria) resta memorabile ed è un capolavoro assoluto che si impone alla nostra attenzione per la forza ideativa e per la realizzazione efficace. La novità iconografica non sfuggì né ai contemporanei né ai critici pubblicitari che analizzarono la portata rivoluzionaria del cartellone :

“Molto più significativo, originale e aristocratico [rispetto ad altri manifesti contemporanei dello stesso Dudovich] è invece l’affiche che riportò il maggior premio nel concorso indetto qualche anno fa dalla ditta Borsalino. […] Il significato immediato di questo cartello-réclame non è dato che dalla chiara espressione del soggetto. Nulla vi è di accessorio o di ingombrante; il soggetto, un cappello nero, è disposto nel suo contorno caratteristico tra una sintesi di colore e di forma; e il colore è così distinto ed equilibrato che fa tollerare qualche scorrettezza nella disposizione prospettica dell’ambiente.”  “© 2017 archivio MD”

Un’altra testimonianza tratta da un quotidiano dell’epoca ci dice:

“ Dudovich si affermò nel 1910 battendo una schiera di già noti bozzettisti nel concorso, indetto da Giuseppe Borsalino, per un manifesto adatto al lancio del cappello Zenit. Giulio Ricordi, a questa gara che aveva in palio la somma di cinquemila lire (cifra enorme per quei tempi) fece partecipare i migliori pittori della sua Casa. Vi fu ammesso anche Dudovich al quale però il grande editore non concedeva serie speranze di affermazione. Prendendo spunto dal nome del cappello, molti concorrenti si sbizzarrirono nelle illustrazioni più disparate. Il giovane cartellonista si limitò ad un bozzetto semplicissimo: in uno sfondo giallino, su una poltrona stile Luigi XV un paio di guanti, un bastone e un cappello. Ricordi, appena lo vide, lo battezzò con l’epiteto di “risotto allo zafferano” “ .

Quindi anche un navigato esperto di comunicazione come Giulio Ricordi non comprese immediatamente la portata innovatrice di tale lavoro, ma leggiamo direttamente le parole di Dudovich che più avanti negli anni così ricorderà l’episodio:

“ Venne il concorso per un manifesto della Casa Borsalino. Ricordi voleva vincerlo a tutti i costi e si raccomandava con i suoi disegnatori perché ciascuno preparasse il suo bozzetto. Gran signore, non osava sollecitarci direttamente al lavoro. Veniva a trovarmi, mi chiedeva come stavo, mi parlava del più e del meno e intanto sbirciava il cavalletto con il pince-nez tenuto tra le dita. Il mio foglio continuava a restare bianco. Lo tenni sulle spine fino al giorno della consegna, quando gli mostrai quello che avevo fatto: un semplice cappello nero posato su una poltrona gialla, nient’altro. Forse qualcuno ricorderà ancora quel manifesto rivoluzionario. Quando lo vide, così diverso dagli altri e così semplice (a quei tempi i manifesti erano sempre pieni di figure, specialmente di donne abbondantemente scoperte) il povero commendatore torse il naso ed esclamò: “Questo risott chi, mi lo mandi no!”. Umiliato lo piantai lì e non mi feci più vedere in stabilimento. Passa una quindicina di giorni e una mattina sento una tromba d’auto sonare con insistenza davanti a casa mia. Mi affaccio: era l’auto del commendatore. Ricordi, sporgendosi dalla vettura gridava: “Dudovich, ch’el vegna giò che lo voglio abbracciare!”. Avevo vinto il concorso Borsalino […] celebrammo con lo champagne! “.

Dino Villani dirà che per questo cartellone “si è reso necessario” mettere in disparte il soggetto femminile e aggiungerà:

“Non ci consta che altri, prima di Dudovich avessero pensato di sintetizzare così il richiamo, di limitarsi alla presentazione dell’oggetto, che vedremo parecchio tempo dopo divenire abbastanza frequente. Fu un segno precursore, ma non un’indicazione poiché egli non insistette e continuò a presentarci le sue belle donne.”

L’unico oggetto che si distingue immediatamente è la bombetta nera sopra la sedia. Questi pochi elementi lessicali, assieme al bastone e al paio di guanti, arricchiscono l’immagine di una forte ed efficace carica simbolica. Dudovich rompe dunque coraggiosamente con la tradizione cartellonistica italiana e guarda agli esempi europei più all’avanguardia: l’oggetto è solo, in primo piano, e si presta ad un effetto “blow-up” senza avere più bisogno dell’ausilio di figure che ne sorreggano la motivazione o l’utilità. L’ambientazione scenica è stata da Falabrino avvicinata ad un ambiente domestico e più precisamente ad una anticamera dalla quale si accede, dietro le tende, ad una stanza molto femminile, il “boudoir”. Questa lettura fa ipotizzare la visita privata di un gentiluomo ad una signora, il quale, prima di entrare, posa sulla poltroncina cappello, guanti e bastone (attributi che chiariscono inoltre il ceto di appartenenza dell’uomo). L’atmosfera allusiva e sospesa, il gioco del sottinteso fanno parte della raffinata psicologia di Dudovich basata spesso sulla volontà di sedurre e coinvolgere il fruitore attraverso delle “associazioni mentali” che gli consentano di decifrare il messaggio. Possiamo tuttavia anche ipotizzare che la poltroncina sia posta su di un palco di teatro con il sipario ancora chiuso, ma dove è pronto ad “andare in scena” il cappello di Borsalino. E perché la finzione risulti credibile, esso viene accompagnato da comparse “qualificate”: una sedia Luigi XV (che è anche un residuo dell’arredamento borghese fine Ottocento), un signorile bastone da passeggio e dei guanti. Esiste una simpatica caricatura di Augusto Majani che raffigura Marcello Dudovich mentre, su di una scala con pennello e colla, attacca questo famoso manifesto del 1911 . La didascalia recita: “Benché io sia il celebre Marcello autore del magnifico cartello, eppure adesso l’umile fatica d’affiggerlo… m’infligge qui Nasica”. Prima di passare a considerare il trasferimento di Dudovich da Milano a Monaco di Baviera conviene ricordare qualche avvenimento significativo che si sviluppa attorno al 1911. A questa data – che vede l’Italia iniziare guerra di Libia – ricorre il cinquantenario dell’unità d’Italia e per questa occasione viene organizzata una grande Esposizione nazionale nelle tre città che sono state, negli anni, le tre capitali d’Italia: Torino, Firenze e Roma. Ma ora dobbiamo necessariamente calarci dentro il 1911. Marcello Dudovich, ormai di comprovata forza e maturità artistica, è pronto a lasciare Milano alla volta di Monaco, ma altri artisti si preparano al viaggio e la loro meta è Parigi: sono principalmente il gruppo dei Futuristi con Boccioni, Carrà, Russolo e Marinetti che raggiungono nella capitale francese Severini.  “© 2017 archivio MD”

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