LENCI

ll nome LENCI è l’acronimo del motto latino “Ludus est nobis constanter industria”, che vuol dire “Il gioco è per noi un lavoro costante”. Quella della Lenci è una storia tipicamente torinese, che si snoda interamente tra via Marco Polo e via Cassini: ossia, la Crocetta, uno dei quartieri più “torinesi” di Torino. Ma, al tempo stesso, è la storia di un nome e di un marchio conosciuti in tutto il mondo. Nel periodo fra le due guerre poche altre aziende italiane raggiungeranno  un analogo livello di notorietà. I prodotti della Lenci erano conosciuti e apprezzati a New York come a Londra, a Bombay come a Lisbona, a Budapest  come a Toronto, passando per Tokyo per arrivare a Berlino .  Bambole, ma non solo; anche camerette per bambini e accessori per signora, elementi d’arredo per la casa e animaletti di pezza, arazzi e teli batik. Il che corrispondeva perfettamente alle intenzioni dei fondatori, i quali nell’atto costitutivo dell’azienda avevano minuziosamente precisato che era loro intenzione produrre «giocattoli, bambole, pupazzi, confezioni, articoli di vestiario, decorazioni per vestiti, scialli, cuscini, cappelli, scarpe, pantofole, cinture, articoli di moda e di fantasia, chincaglieria, tende, mobili in legno dorato, arredamenti per la casa…» e l’elenco continuava ancora. Insomma, il marchio Lenci intendeva evocare un intero mondo, che aveva come elemento unificante il «pannolenci»: una varietà di panno, specialità della Casa, che consentiva impieghi altrimenti impensabili con quello tradizionale. Personaggi principali, due giovani coniugi, Elena König ed Enrico Scavini: giovane signora con velleità artistiche, lei; agente di commercio, lui.  Almeno all’inizio, ci appaiono come protagonisti involontari della storia. Già, perché il caso ha avuto un ruolo importante in tutta la vicenda, che origina non da una precisa volontà dei coniugi di dar vita a un’attività imprenditoriale, ma da un evento imprevisto quanto doloroso: la morte improvvisa di una figlioletta, colpita da una forma particolarmente aggressiva di febbre spagnola, il morbo che all’indomani della prima guerra mondiale mieté in Europa  milioni di vittime. Secondo la testimonianza della stessa protagonista, fu infatti per cercare di reagire alla depressione in cui era caduta per la morte della figlia che Elena König si mise a confezionare bambole di pezza, come quelle che era solita realizzare da bambina per suo diletto. Nelle intenzioni, e ancor più nell’immaginazione della protagonista, queste bambole avrebbero dovuto pervenire alla piccola morta per rallegrarle l’esistenza nell’aldilà. Nella realtà, invece, andavano ad accumularsi le une sulle altre in qualche armadio. E lì sarebbero rimaste per sempre, avvolte dall’oscurità, se una sera, durante una cena con amici, il padrone di casa non avesse accennato all’abilità della moglie nel costruire bambole, mostrandone anche alcuni esemplari. Fra i commensali era presente un italo-americano, titolare a New York di una società di import-export, che colse immediatamente il valore commerciale dei pupazzi che Elena König confezionava con tanta abilità e chiese pertanto che gli venissero consegnati tutti, dichiarandosi certo di poterli collocare facilmente sul mercato americano. Mai profezia fu più azzeccata. A pochi giorni dalla partenza dall’Italia, un telegramma informava che tutte le bambole erano già state vendute sul piroscafo che le portava negli Stati Uniti; se ne richiedevano pertanto altre con urgenza. Il dado era tratto. Nel 1921 i coniugi titolari depositarono il primo marchio con il brevetto per il procedimento di pressatura a caldo del panno in lana, finalizzato alla realizzazione di bambole da collezione. La signora Elena Scavini coinvolse nella progettazione e nella realizzazione delle bambole alcuni tra i migliori artisti dell’epoca, come Dudovich, Vacchetta, Sturani, Riva e Gigi Chessa. La produzione Lenci, in pochi anni, riscosse un successo tale da diventare una sorta di status symbol, capace di influenzare persino la moda femminile. Nel 1923 sul “Toys and Noveltiers”, una nota rivista americana specializzata in giocattoli, si scriveva :”Stilisti e modiste ricevono ordini per abiti e cappelli come quelli che vestono le bambole italiane Lenci. Con il loro stile decisamente innovativo e provocatorio, il caratteristico sguardo di sbieco e l’aria monella, le bambole Lenci rappresentano, sicuramente, un felice mix di tradizione artigiana e sperimentazione “. Tra i tanti modelli di notevole pregio stilistico e ingegno non si possono non ricordare Gigolette, una languida e ribelle donnina in miniatura, intenta a fumare una sigaretta e Tulipano, una bambola prodotta in soli 223 esemplari in occasione dell’ottantesimo anniversario dell’azienda, ispirata alla Regina Beatrice d’Olanda che ricevette in omaggio l’esemplare n. 1 contrassegnato in fili d’oro zecchino. ( l’esemplare è oggi conservato al Museo reale di Amsterdam ). Oggi, sia Gigolette che Tulipano sono tra le bambole più amate e ricercate dai collezionisti. Dal 1928 la Lenci ampliò la produzione, accostando alle bambole in feltro eleganti ceramiche artistiche, ispirate al mondo nordico, danese e tedesco. Negli anni ‘50, invece, sull’onda del fenomeno materie plastiche, lanciò anche bambole in plastica, riuscendo, ancora una volta, a sorprendere il mercato con originalissimi modelli in serie limitata. Purtroppo, nel 2002, Casa Lenci dopo diverse vicissitudini e cessioni del marchio, privata ormai di abili capitani d’azienda, venne travolta da un rovinoso fallimento che la trascinò negli inferi della procedura concorsuale. La curatrice, incaricata dal tribunale a liquidare l’azienda, per far fronte ai tanti creditori, decise di mettere all’asta le ultime bambole rimaste in deposito, servendosi di un sito internet creato appositamente per l’occasione. Il sito, definitivamente chiuso nel 2003, si rivelò  uno strepitoso  successo registrando un completo   “ Sold Out “ in pochi mesi.  © 2019 archivio MD

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